TOCCHERA’ RIASSUMERE GLI OVER 45

C’era da aspettarsi che, prima o poi, sarebbe successo. Qualche anima pia ogni tanto sollevava la malinconica riflessione sul fatto che – a una certa età – una persona non riuscisse più a trovare lavoro: non interessavano i titoli, lo stato di servizio, l’esperienza, le capacità. Non servivano referenze, largo ai giovani. E basta. Era soltanto, appunto, una malinconica riflessione.

Adesso il trend si inverte, per lo meno inizia a girare il vento. Abbiamo appreso la notizia: la “Cafeteria Donald”, un bar di Siviglia, ha pubblicato un annuncio in cui offre lavoro a camerieri over 45. Il proprietario, Mariano Garcia, si è arreso: “Ragazzi e ragazze non amano la professione, il lavoro in generale. Non sanno soffrire, non vogliono imparare: allo scoccare della settima ora, scappano via”.

Nessuna dedizione, nessuna sensibilità o attenzione se il bar è ancora affollato, se ci fosse bisogno di straordinari. Prendi i soldi e scappa, questa la denuncia di Mariano, che si è trovato in piedi, inerme, al centro dell’assurdo bivio se dover chiudere per mancanza di personale. Perché la prima fatica è quella di trovarli, i giovani, e chiudere un bar di Siviglia “per mancanza di personale” nel 2024, quando il mondo si lamenta perché non ha lavoro e ha pochi soldi, sembra davvero uno schiaffo violento alla coerenza.

Tra l’altro a livello economico, sindacale, previdenziale, un allievo comporta oneri pari a un veterano: “Mi costa 2.400 euro al mese insegnare a una persona tra stipendio, previdenza sociale, ritenute… Non può essere che uno senza esperienza guadagni quanto qualcuno che ce l’ha”, dice don Mariano. E poi vizi, trasgressione alle regole, capricci: “È arrivato un nuovo cameriere, ha detto che aveva problemi con la sua banca e mi ha chiesto di pagarlo cash. Di solito pago i miei dipendenti il 25 di ogni mese. Questo è stato pagato, dopo di che non ho sue notizie da una settimana”.

Naturalmente, è entrato in gioco immancabilmente il “politicamente corretto”: la decisione di García di non assumere più giovani è stata presa come una scelta discriminatoria, eppure quando gli “anziani” sono stati messi precocemente da parte, non ci sono mai state levate di scudi. Solo riflessioni malinconiche, dicevamo.

Non avendo figli, non so come avrei fatto. Non so cosa avrei fatto. So solo quello che è successo a me e quello che ho visto in questi decenni: la mia famiglia era benestante, ma se chiedevo uno sfizio tipo gli sci nuovi per andare in settimana bianca con la scuola, dovevo andare a vendere accessori per auto (il ramo di papà) porta porta nei negozi specializzati. Avevo 12 anni e mi pagai così quegli sci. A 16 anni lavoravo 8 ore al giorno e studiavo di notte.

Ogni generazione cresce ascoltando la litania da genitori, nonni e bisnonni che “una volta era meglio, era diverso”. Sul tema specifico, se non vogliamo accettare questo dogma, dobbiamo comunque prendere atto che esiste un problema inedito, non da oggi, non solo in Spagna, non solo nella ristorazione, che pure è una delle filiere più penalizzate in questo senso. E quel problema è proprio la mancanza di abnegazione e sacrificio che imperversa nel modus vivendi di molti giovani.

Senza stare a fare trattati di sociologia o di educazione, dato che – oltre a non avere titoli né stato di famiglia – non sarebbe di mia competenza, esprimo un parere da osservatore, da cittadino del mondo: la colpa è nostra, di noi boomer, di noi educatori delle nuove generazioni. Siamo stati presi dal delirio dei telefoni col lucchetto che si trasformavano in iPhone, dalle biciclette che diventavano motorini, dalle macchine per scrivere che si evolvevano in pc, dai tabù delle carezze al sesso libero e precoce, dalle scuole occupate per andare a pomiciare lasciando a quattro gatti le barricate e le rivendicazioni. Eravamo troppo distratti a farci i fatti nostri per trovare il tempo di insegnare qualcosa, così nel frattempo buttavamo i mozziconi per terra, la plastica in mare, smettevamo di prendere i mezzi pubblici perché allo scoccare del 18esimo anno pretendevamo patente e libretto.

Oggi siamo più impegnati a ripulire le scuole da crocifissi e poeti che a istruire gli alunni, a difenderli strenuamente per una punizione o un brutto voto anziché calcare la mano, come facevano i nostri genitori. Lasciamo ai giovani le chiavi di un pianeta soffocato e soffocante, dalla natura alla fede, dalla famiglia ai valori dell’amicizia, dell’integrazione, della mancanza di pace, infine del lavoro appunto.

Quindi, della storia del bar di Siviglia e di quelli che ne prenderanno esempio, non possiamo sorprenderci: era chiaro che prima o poi sarebbe successo.Pubblicità

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