Una brutta storia con un epilogo che conoscevamo già, un copione ampiamente previsto e anticipato anche su @ltroPensiero.net qualche tempo fa. Parliamo dell’uscita, pardon dimissioni, di Tavares, potente AD di Stellantis, crocefisso dai pessimi risultati, ma soprattutto dalla sua imperdonabile condotta con tutti gli interlocutori, nessuno escluso, dai quali ha preso solo due di picche sonori
Cominciano, comunque, a fare una certa notizia i “rumors” sulla sua maxi liquidazione che si aggirerebbe intorno ai 100 milioni di euro. Altro che dimissioni, questo chiamasi licenziamento mascherato con scivolo di velluto nella panna montata. Personalmente non sono affatto sorpreso, anzi, a me sembrava proprio che il portoghese ci prendesse gusto a farsi odiare così tanto da farsi mettere fuori con tanto di atterraggio paradisiaco. Conosco piuttosto bene la pasta di certi manager che, a un certo punto, si staccano dal ruolo e si concentrano solo sul tornaconto personale. Tutti diranno: eccerto, con lo stipendio che aveva e le azioni a disposizione è logico che le somme siano alte. Ma per favore.
Qui doveva intervenire per tempo chi sta sopra di lui, il board e in particolare il presidente Elkann. Solo che il rampollo degli Agnelli era impegnato fino a poco tempo fa ad elogiare l’operato del suo AD, quando aumentava i prezzi delle auto, zittiva i sindacati e puntava dritto agli obiettivi. Era l’illuminato top manager che aveva risollevato le case francesi e che adesso, con la sua bacchetta magica, avrebbe fatto lo stesso con la ex-FCA.
Ci sono stati però incidenti di percorso. I mercati si sono inchiodati, in particolare l’elettrico, e la questione delle fabbriche italiane è diventata scottante, più di quello che lui si sarebbe immaginato. Hai voglia di giostrare le produzioni nel mosaico del gruppo e di promettere nuovi piani industriali a ripetizione, ci voleva un serio piano B o C, cosa che dovrebbe avere uno come lui da 19 milioni di euro all’anno. Invece, Elkann, che si sta pure rifiutando di andare a riferire in Parlamento, non ha preso alcuna precauzione e si è fatto mettere nel sacco dal furbo Carlos.
Punterei decisamente il dito sulla responsabilità della governance piuttosto che sul singolo individuo, è il sistema che non funziona. Quando va tutto bene tutti godono e si pavoneggiano senza preoccuparsi, quando va male facciamo fuori subito il più esposto (e il più contento) e ci mettiamo a posto la coscienza. Tanto, basta cercarne un altro che farà di sicuro meglio (per lui), e la giostra riprende a girare. E’ questo che non va bene: c’è pochissima visione, quasi nessuna pianificazione in caso di emergenza, il fatto di farsi spesso sorprendere dalle crisi così tanto annunciate. Se pensiamo al contenuto vero, l’effetto collaterale di 100 milioni di liquidazione sembra addirittura irrilevante. Fa effetto, ma non è la vera causa del problema. Sarebbe serio, comunque, pensare a blindare queste fastidiosissime e costosissime buonuscite: basterebbe legarle ai risultati in corso e a un giudizio qualitativo sulla gestione attuale, non ci vorrebbe molto. Manca la volontà di andare contro le regole, non c’è coraggio di dire basta a questi top manager scaltri, pronti a far valere le clausole dei propri contratti, un secondo prima di essere fatti fuori.
Cosa vuoi che interessi a Tavares del destino di migliaia di lavoratori, lui sta già pensando a come investire i suoi prossimi 100 milioni, aspettando la chiamata di qualche cacciatore di teste che avrà bisogno di una persona dal curriculum così altisonante per sistemare qualche azienda in posti imprecisati del globo, dove nessuno si ricorda del suo tonfo finale. Purtroppo a noi, invece, interessa molto capire cosa succederà del più grande gruppo semi-italiano privato, a cominciare dalle risposte che sembra non avere il Presidente in carica, colui che dovrebbe indicare la via per uscirne.