SVEZIA, NON PROPRIO IL PARADISO

di JOHNNY RONCALLI – Svezia inferno e paradiso. È il titolo di un libro e poi di una sorta di film documentario italiano del 1968 che ben sintetizza le contrastanti sensazioni che in questi giorni innescano le scelte del paese scandinavo.

Dal piano terra Italia, da sempre abbiamo una sorta di mitizzata ammirazione per l’attico Svezia, per emancipazione, per costumi sociali evoluti e disinibiti, per scioltezza amministrativa e, non ultimo, per via dell’Ikea.

Già il documentario, più di 50 anni fa, più o meno volontariamente metteva la pulce all’orecchio. Sarà tutto così sublime lassù?

Loro han deciso la propria via verso l’immunità di gregge: partite e manifestazioni varie rinviate ma bar e ristoranti aperti, lavarsi bene le mani, evitare assembramenti con più di 50 persone. In generale l’atteggiamento è attendista, vediamo di giorno in giorno. “Inutile chiudere, meglio il contagio graduale” dice il loro epidemiologo di fiducia. Ma non si creda che gli svedesi siano poi tutti così convinti. Intanto, l’attuale bilancio nella piccola nazione scandinava (10 milioni di abitanti in un Paese del 50 per cento più grande dell’Italia) segna ormai 6.443 pazienti infetti, di cui 520 in terapia intensiva, e 373 morti, con una media di 12 mila tamponi a settimana.

Storicamente e culturalmente, la fiducia nei propri governanti è un tratto distintivo della popolazione, come lo è un certo fatalismo, ma anche tra i politici vichinghi non regna tutta questa sicurezza nella via intrapresa.

Gli svedesi hanno un atteggiamento mediamente più rigoroso nei confronti della disciplina e dei provvedimenti imposti, hanno manifestazioni affettive e usi sociali più distaccati rispetto ai nostri espansivi accaloramenti, ma è lo stesso primo ministro a mettere tutti in guardia: “Prepariamoci a migliaia di morti”.

Quindi? Inferno o paradiso?

Il fatto è che forse così illuminati nemmeno gli svedesi lo sono. Certo non più preparati. Se poi la filosofia comune è che tanto il Walhalla, il paradiso dei guerrieri della mitologia nordica, presto o tardi li accoglierà, i giochi sono chiusi e amen.

Molte testimonianze, tra le quali quella di un infermiere italiano – Francesco Vaccarezza – che vive e lavora lassù da anni, raccontano di una nazione quasi indifferente, che sembra rispondere con una scrollata di spalle al finimondo intorno a loro. E le cose sembra non vadano meglio in quanto a predisposizione di strutture per l’emergenza. Ma davvero saranno cosi sereni e rassegnati al que será será lassù?

Abbiamo patimenti da vendere qui al pian terreno e facciamo fatica a dedicare attenzioni speciali alle questioni scandinave. Solo il tempo chiarirà chi abbia ragione davvero.

Possiamo solo augurare loro di non ridursi, come unica arma residua, a dover invocare gli dei.

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