SOGNANDO INVANO UN GRANDE MINISTRO PER LA SCUOLA

La scuola, la stramaledetta Pubblica Istruzione, i dannatissimi lacci e lacciuoli che impediscono che, in questo benedetto Paese, si nomini al dicastero che sovrintende all’educazione dei futuri cittadini, non si dice un fenomeno, ma, almeno, una persona di accettabile competenza o di normalissima capacità decisionale. Questo mi solletica l’atrabile, mentre, proprio in queste ore, nei meandri della politica romana, ci si accoltella e ci si accorda per la spartizione di poltrone, scranni e strapuntini.

Perché quella Pubblica Istruzione che, nelle chiacchiere elettorali, viene disegnata come il fulcro strategico dello sviluppo dell’Italia, nella tristissima realtà fenomenica diventa una pezza da pavimento o, meglio, una seccatura: un incarico da assegnare a qualche candidato trombato, a qualche mezza calzetta di partito, a impresentabili pensionati, demoniesse infanatichite, sindacaliste tessili o pupazzi di ogni genere. E i nomi che girano anche stavolta (i più ricorrenti: Aprea, Bernini, Ronzulli), ci dicono che, anche a questa tornata, la scuola sarà probabilmente abbandonata a se stessa. Perché questo accada, laddove dovrebbe essere, viceversa, l’esatto contrario, è presto detto: la Pubblica Istruzione non frutta palanche ed è una bruttissima gatta da pelare, dopo decenni di disastri, riforme insensate e crolli culturali.

Non frutta palanche perché è una branca dello Stato orientata alle generazioni future e, quindi, che non vede un immediato rendiconto di ciò che si semina: insomma, è più pane per gli statisti con una visione che per i politicanti a caccia di soldi o di consensi. E’ una bruttissima gatta da pelare perché l’intera materia necessiterebbe di una rivoluzione culturale di proporzioni epocali: si tratterebbe non tanto di rimettere in sesto il carrozzone amministrativo della scuola, che già sarebbe un’impresa, quanto di ribaltare le idiozie ideologiche e didattiche, l’intera Weltanschauung scolastica, con decisione perentoria e idee chiarissime.

Decisione perentoria, idee chiarissime? Capite bene che, in Italia, questo sa tanto di barzelletta o di presa per i fondelli. Immaginate una scuola che attiri non i rincalzi, ma i migliori laureati, che li recluti secondo merito e li retribuisca secondo valore: suvvia, non scherziamo. Una scuola che non abbandoni a se stesse le eccellenze, a favore di un mandare avanti perfino i decerebrati. Una scuola libera da ideologie, meritocratica, efficiente: riuscite a immaginarla senza ridere? E una scuola ariosa, bella da vedere e da frequentare, con insegnanti capaci e dirigenti sagaci. Sì, e, poi, magari, il catering di Cracco!

Capite bene che questa scuola non può esistere in questa Italia: sarebbe un ossimoro, un controsenso. E, pertanto, non è possibile che venga nominato al vertice della scuola italiana uno che la scuola se la immagini così: ci vuole un boiardo che non tocchi nulla e che passi il testimone a un successore che, a sua volta, nulla toccherà. Se toccano, è solo per demolire. Tanto, che ci frega del futuro? La politica italiana è sostanzialmente epicurea. Carpe diem quam minime credula postero. Che è latino, non inglese, eh. Per la traduzione chiedere a scuola, là dove ancora sopravvive.

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