SOGLIA DEL DOLORE E SOGLIA DELL’IDIOZIA

di MARIO SCHIANI – Nel leggere la notizia che, in provincia di Milano, due ragazzini sono finiti al Pronto soccorso per ferite alle labbra e alle guance inferte nel tentativo di “assomigliare a Joker”, viene da chiedersi se qualche studioso abbia mai pensato di scrivere una “Storia universale dell’adolescenza”.

Nel caso, è probabile che sia arrivato a una precisa conclusione: nei secoli gli adolescenti hanno sempre provveduto a mettersi di traverso sui nervi degli adulti, ad assumere atteggiamenti a metà tra la rabbia e la sufficienza, adottando abiti e mode il più lontani possibili dal gusto dei “grandi” e, in sintesi, facendo di tutto per inorridire il prossimo e per tirar schiaffi (anche se nessuno, in questo, mai avrebbe dovuto e mai dovrà accontentarli). E’ questo il modo che credono infallibile di affermare indipendenza laddove gli adulti non sono disposti a concederla: nel loro mondo bizzarro e, da fuori, incomprensibile, i ragazzi si sentono padroni di se stessi, liberi dal giudizio, fieri di una diversità che, tra loro, in realtà impone spesso il più intransigente dei conformismi.

Chissà, forse durante qualche scavo a Pompei gli archeologi scopriranno un gruppo di adolescenti riuniti all’angolo di un’antica strada, sorpresi dai lapilli con l’aria annoiata dipinta sul volto, la toga sciolta in qualche guisa stravagante e, nei paraggi, un congegno tipo skateboard, o comunque un attrezzo atto a provocare l’irritazione e la disapprovazione degli adulti.

In questi giorni, molti hanno ricordato David Bowie a cinque anni dalla scomparsa: a completamento delle celebrazioni andrebbe forse sottolineato come l’artista inglese fosse un genio del trasformismo estetico, musicale e stilistico, un camaleonte che non inseguiva le mode ma, spesso, le creava. Soprattutto, il suo apparire e riapparire in mille forme diverse aveva un senso preciso: rappresentare visivamente la mutevolezza interiore di tanti suoi fan che attraversavano appunto l’età dell’adolescenza. Un panorama emotivo capace di splendore così come di disperazione, incerto e ambiguo, anche sessualmente, oscillante tra la sensibilità più delicata e l’aggressività più spavalda. Bowie portava con sé sul palco questo spettro luminoso e in esso molti si riconoscevano.

Quando leggiamo degli adolescenti milanesi (un ragazzo e una ragazza: sarebbe stato lui, più grande, a infliggere le ferite a lei oltre che a se stesso) possiamo dunque inorridire ma non stupirci più di tanto. Quel che preoccupa è che questo desiderio di distinguersi dal mondo “comune” e di aderire a un altro, quale esso sia, abbia in questo caso imboccato la strada dell’autolesionismo, che il desiderio di camaleontismo non si sia fermato all’epidermide ma più sotto. Come il consumo di droga tra i ragazzi continua a dimostrare, gli istinti autolesionistici tra i giovani non sono certo una novità: qui c’è però anche l’impulso a sfigurarsi, nel senso di uscire dalla propria “figura”, una proiezione di sé che ancora non si riesce ad accettare.

“Abbiamo fatto questa prova per verificare la soglia del dolore”, avrebbe raccontato il ragazzo, e in questa “verifica” sarebbe compreso anche il tentativo di assomigliare a un celebre personaggio risentito, disadattato e folle che i fumetti e il cinema hanno a loro modo glorificato.

Al giovane, accusato di aver ferito l’amica, ora ricoverata in ospedale, viene contestato un reato tutto nuovo, quello di “sfregio”, voluto per contrastare le violenze di genere, gli atti di gelosia sanguinaria, i folli assalti degli stalker, degli uomini che non accettano la realtà dei sentimenti. Decideranno i magistrati se questo è il caso o se non si sia trattato piuttosto di una sorta di patto adolescenziale nel quale la responsabilità ricadrebbe comunque sul più grande.

A noi, al momento, sovviene una sola conclusione, un po’ ironica e un po’ amara: se proprio desideravano trasformarsi in un personaggio grottesco e assurdo, ovvero in individui goffi e fuori posto, pieni di dolore e malanimo, presi a calci dalla vita e incapaci di comprenderne le regole e i confini, senza contare il senso e lo scopo, non avevano che da aspettare qualche anno: con l’età adulta sarebbe arrivato anche per loro, come per tutti, il momento di guardarsi allo specchio e di trovarci un buffone.

 

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