di GHERARDO MAGRI – Un effetto devastante e inaspettato dello smart working forzato per via del Covid è la sovraesposizione involontaria e quasi ineluttabile alla televisione. Sì, perché chi è abituato a stare lontano da casa tutto il giorno – parlo soprattutto a nome di noi pendolari -, diventare stanziale e trasformarsi in bersaglio dei vari mezzi di comunicazione casalinghi è un attimo. Un attimo diventato un periodo lungo mesi e mesi di passiva assuefazione.
Ormai il televisore ha sostituito la radio ed è diventato sostanzialmente un badante di casa. Un rumore di fondo ipnotico con effetti collaterali, quelli descritti nel bugiardino di ogni farmaco. All’inizio, il pendolare messo in catene apprezza. Riesce, per esempio, ad essere informato di più e più spesso. Passa dalla lettura veloce del quotidiano o dalla surfata digitale sui maggiori siti d’informazione, alla completa somministrazione dei vari tiggì. Principalmente quello all’ora di pranzo, piano piano si dà un’occhiata anche a quello della mattina e della notte, prima di andare a letto. Perché no, tanto sono in casa. Tutto ok fin qui, anche se le notizie si ripetono e così pure i servizi. Una piccola overdose non necessaria. Ti accorgi che la qualità si è vistosamente abbassata e cominci a rimpiangere la lettura silenziosa delle notizie.
Poi, la televisione accesa dilaga come una piccola inondazione al prima e al dopo informazione. Il tempo non è più una risorsa scarsa: si aggiungono almeno due-tre ore rispetto al pendolarismo di prima. Magicamente, quell’apparecchio ronzante attira come una calamita e i programmi serali sono la prima trappola in cui cadi senza accorgetene. Per non parlare del dopo cena. Il classico film o le serie televisive che vedevi con desiderio in condizioni standard, non bastano più. Cominciano a insinuarsi subdolamente le fiction, i programmi di intrattenimento e i reality. Aiuto. Non abituato a tutto ciò, cominci a sbandare e a odiare quel rettangolo elettronico, così attraente da spento.
In assoluto, l’effetto più deleterio è della pubblicità. Questo ha il sapore di un giudizio muffoso da anni’80, lo so, ma ho fatto una robusta customer experience (esperienza da cliente). La quantità degli spot si è dilatata in modo sproporzionato e la qualità è precipitata verso un fondo che non si vede.
E dire che io nasco nel marketing e, in un certo senso, ho contribuito a organizzare questo mondo. In più, nelle mie esperienze ho lavorato per un’azienda che produce e vende tv: si può capire il mio sgomento. E’ come fosse arrivata per me una sorte di “redde rationem” imprevista. Martellato e colpito come sul ring, barcollo e mi porto verso una saturazione pericolosa. Altro che “anima del commercio” come si diceva all’origine, trovo più coerente dire oggi “all’anima sua”. Per vedere la fine di certi programmi si fa notte fonda, i break diventano pause così lunghe da organizzarci attività parallele. Cerchi di cambiare canale e zàc, non riesci a sfuggire quasi mai. Lo zapping è portatore di stress aggiuntivo. Una buona via di fuga viene dalle nuove piattaforme digitali, dove non c’è nessuna interruzione e puoi fermare e riprendere quando vuoi. E’ puro istinto di conservazione, funziona, il loro boom ne è la prova.
Il pendolare, inossidabile nel fisico temprato da anni di duro vagare, un po’ il Superman del CCNL, adesso che dovrà diventare uno smart worker potrebbe inciampare nella kryptonite verde, proprio a casa sua. Se non prende le giuste contromisure in fretta, rischia di trasformarsi per sempre nell’impacciato e timido Clark Kent.