SINNER, “TU NON SEI UMANO”

di LUCA SERAFINI – Di italiano a malapena ha la lingua, con l’inconfondibile cadenza del luogo natio in Val Pusterla. Non il cognome, Sinner, né tanto meno il nome, Jannik, come del resto quelli di papà Hanspeter e mamma Siglinde, del fratello maggiore Mark. Per non parlare del rifugio che gestiscono, il Talschlusshütte-Fondovalle…

Ma è italianissimo. Eccome. E ce lo teniamo stretto.

Magrolino, rossiccio di capelli, volto scavato e lentigginoso, non diresti mai che sia una bionica macchina sparapalle del tennis: piuttosto, somiglia a uno studentello che si aggira in bicicletta sulle colline di Costwold tra le case di campagna di Hugh Grant, Kate Moss e del Principe Carlo che vi si rifugiano nel silenzio totale. Jannik, a proposito, non ama le interviste, lo ha detto chiaro in una di queste definendole come una distrazione, uno degli accessori che meno lo entusiasmano nella vita che fa e che per il resto ama visceralmente. Nonostante sacrifici, abnegazione ossessiva, viaggi che lo tengono lontani dalla famiglia e dagli amici.

Ma questo Pippo Calzelunghe che si gioca la finale degli Open di Miami sul cemento (quarto tennista Under-20 della storia a disputarla dopo Andre Agassi, Rafael Nadal e Novak Djokovic…) è italiano, eccome se è italiano, e ce lo teniamo stretto, strettissimo, già amandolo per quelle carezze che scaraventano la palla dall’altra parte della rete alla velocità del suono. Per quella capacità di restare impassibile quando la melma è al collo e uscirne vivo, lindo, fortificato. Per quell’unico, impercettibile gesto di stizza (uno solo) nelle 5 partite che lo hanno portato sotto allo striscione del traguardo in Florida. Per quell’espressione glaciale con cui incassa o ferisce, quel pugno chiuso e stretto con cui si lascia andare a esultanze microscopiche, per quella testa in cui – molto più che nelle esili braccia o nelle gracili gambe – sembra racchiudersi tutta la forza, la potenza, la stabilità di un fenomeno adolescente che ragiona come un veterano.

Se leggete la sua biografia, è stato il “più giovane tennista italiano” a iscrivere il suo nome innumerevoli volte in altrettante prime imprese. Incredibile per un ex-sciatore provetto che oggi vive e si allena tra Montecarlo e Bordighera.

Sere fa il russo Alexander Bublik, fortissimo atleta e originale saltimbanco, a fine match perduto è andato a rete per stringergli la mano dicendogli ad alta voce: “Tu non sei umano”. Ho sorriso più io di Sinner. Quando lo vedo giocare, non so perché ma mi vengono in mente così tanti atleti straordinariamente talentuosi… i quali con un solo paio di neuroni in prestito dal nostro prodigioso tennista avrebbero avuto carriere luminose e invece sono rimasti lì, parcheggiati nei rimpianti.

Gioca fuori dal campo, lontano dalla linea di fondo (“Ma Musetti ancora di più”, mi ha corretto l’ex fuoriclasse Paolo Bertolucci che oggi commenta in tv le imprese di Jannik e non solo le sue), non si capisce bene il motivo, se non che quando scende a rete sembra quasi attraversare la strada all’ora di punta. E’ l’unico momento in cui pare vulnerabile, per il resto il nostro italianissimo teutonico campione sprizza solida sicurezza da ogni poro, saltabeccando da un angolo all’altro e tirando bolidi generati da una rampa e non da una racchetta.

Faremo un tifo d’inferno, ragazzino. Perché tu vinca l’ATP di Miami, ma soprattutto perché tu prosegua sulla tua ripida, tortuosa strada verso cime sempre più alte. Senza paura di cadere e di rialzarti. Ti teniamo stretto, anzi siamo aggrappati a te.

 

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