SINISA, CHE GIOCAVA E VIVEVA ALLO STESSO MODO: ALZANDO LA TESTA

Dove sono quelli che ti davano del fascista? Quelli dello sporco zingaro?

Sinisa hai lasciato un mondo di manichini, gli stessi che avevi di fronte Tu quando battevi le punizioni e li facevi fessi tutti, con quelle traiettorie come missili, si usava dire insultando la guerra e i morti. Perché Tu la guerra, quella vera, atroce mica quella in tivvù, l’hai vista, vissuta, odorata per quel puzzo orribile che si porta appresso, la tua casa di Borovo distrutta, stragi e bombe, tuo zio, stremato, atterrito, salvato dai fucili mitragliatori grazie al soccorso di Zeljko Raznatovic.

Chi fosse costui lo avrebbero saputo tutti, la Tigre Arkan, un delinquente omicida, la pulizia etnica, ma Zeljko era amico tuo perché guidava gli ultras della Stella Rossa e quella volta che mettesti i tuoi tacchetti sulle gambe di Stojkovic cercò di aggredirti con le parole e con le mani, e venne respinto come sapevi e hai saputo. Nacque l’amicizia difficile e imbarazzante, soprattutto per chi non conosce affatto il significato della stessa, Sinisa Mihajlovic mai ha condiviso quegli orrendi misfatti della Tigre, però mai ha negato o cancellato il legame che teneva uniti due uomini diversi, distanti ma affini. Quando nel duemila Arkan venne assassinato, Sinisa scrisse un necrologio che provocò il sussulto dei benpensanti con la riga sulla sinistra, quelli che avevano già dimenticato Tito, il maresciallo, la storia della Jugoslavia, prima unita e poi lacerata, sicuri di molto, ignari di tutto.

Mihajlovic non è stato soltanto un eccellente calciatore e poi un ottimo allenatore, non ha vissuto soltanto di pallone, anche se il football gli ha permesso di vivere un’altra vita, in un altro mondo. Ha diviso i pareri e i tifosi, ha attaccato gli arbitri e molestato gli avversari, ha vestito colori diversi con la stessa passione, una sciarpa al collo per scaldarsi e poi scaldare il popolo delle curva.

Non è andato mai di repertorio classico, dicendo il nulla banale, spacciandolo per sentenza, ha scelto di continuare a lavorare così come era la sua vita, uomo astuto di intelligenza e non di bassa furbizia, sensibile e generoso ma di una beneficenza discreta, quasi clandestina, capace di amori sulfurei e dolci assieme.

Quando ha annunciato di essere malato si è capito infine, per chi non lo avesse ancora compreso, la cifra dell’uomo. Ora ha finito di “rompersi le palle di piangere” e lascia le lacrime a chi gli ha voluto bene e seguirà a volergliene. La sua Serbia è uscita dal Mondiale e Sinisa ha atteso l’ultimo applauso per aggiungere il proprio silenzio. Un’altra fetta della nostra vita se ne è andata.

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