SIAMO TUTTI ORFANI, JERRY LEE LEWIS S’E’ PORTATO VIA L’EPOPEA DEL ROCK’N’ROLL

Qualche giorno per far decantare la notizia e per elaborare il lutto, si dice così credo, ma ora è ufficiale, se ne sono andati tutti. Non tutti in silenzio, ma comunque con garbo, lontani dal rumore dei tempi che corrono.

Un rumore al quale avrebbero ben diritto tutti quanti, perché se oggi ascoltiamo quello che ascoltiamo, come lo ascoltiamo, è anche e soprattutto grazie a loro, i padri del rock’n’roll. E del rock, del pop e di tutto quanto. Che piacciano o meno, da lì in avanti, di pari passo con la creazione dei giovani come oggi li conosciamo, tutto è cambiato.

È morto Jerry Lee Lewis, classe 1935, ed era proprio l’ultimo degli immortali. Forse il più matto e squinternato tra l’altro, ma a buon diritto uno che la storia l’ha scritta e l’ha suonata, tamburellando su quei tasti bianchi e neri come un forsennato, anche con il tacco della scarpa, nel momento in cui il rapimento era irrefrenabile.

Qualcuno se n’era andato giovane, o giovanissimo, per vizio o per fatalità, Eddie Cochran, Buddy Holly, forse il più geniale di tutti, chiedere ai Beatles per conferma, e Gene Vincent, quello che tutti non sanno di conoscere, quello di Be-Bop-A-Lula. Poi Elvis, nel 1977, in piena esplosione punk, affossato letteralmente dal mito, dalle pillole e dall’abuso.

Via via tutti gli altri, senza seguire per forza l’ordine cronologico, Carl Perkins, l’autore di Blue Suede Shoes, Chuck Berry, Bo Diddley, Little Richard, Roy Orbison, un altro che tutti conoscono senza sapere di conoscerlo, l’autore e l’interprete di “Oh, Pretty Woman”, pezzo del 1964 ripescato dal film tormentone con Julia Roberts e Richard Gere.

E poi Fats Domino, il gigante buono di “Blueberry Hill” e di “Ain’T that a Shame”, altri pezzi nelle orecchie e nella memoria di tutti, il gigante che qualcuno ricorderà ai tempi dell’uragano Katrina, alla deriva su una barchetta a New Orleans, raggiunto e salvato dai soccorritori, stupiti di trovarsi al cospetto della leggenda, umile e grata come sempre.

Infine, quasi, Johnny Cash, del quale le nuove generazioni hanno apprezzato la rigenerazione, the man in black, l’uomo in nero che ha affascinato tutti e tutti hanno incontrato.

E poi Jerry Lee, l’ultimo. Il cinema li ha saccheggiati e se ne è impossessato fino ai nostri giorni, la pubblicità anche, l’immaginario collettivo si nutre delle loro musiche, delle loro immagini, del loro mito e così anche l’immaginario di chi nemmeno sa della loro esistenza e della loro storia, è il destino di chi sta nell’occhio del ciclone, quando le cose cambiano in modo radicale, in modo più o meno consapevole, perché a volte solo a posteriori si può dire di aver fatto la storia.

Suoni, abbigliamento, atteggiamenti, immagini e sogni hanno preso il volo da quegli strani e febbrili anni Cinquanta. Qualcuno dei grandi interpreti ha vissuto di rendita, replicando sé stesso all’infinito, qualcuno si è reinventato raggiungendo picchi artistici degni degli esordi, qualcun altro, come Buddy Holly, forse la mente più creativa, si è spento giovanissimo, a ventidue anni, a causa di un incidente aereo, comunque dopo aver scritto e inciso decine di capolavori della musica popolare del Novecento.

Ora se n’è andato Jerry Lee Lewis e con lui morto non esistono più testimoni di quella rivoluzione, così lontana nel tempo, nel tempo che corre sempre più, eppure così attuale e incancellabile.

Ora possiamo dirlo, il rock’n’roll è morto, viva il rock’n’roll.

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