Un attore decisamente bravo, che sarebbe poi Favino, e che in passato si era speso in dichiarazioni pubbliche chiedendo che il proprio Paese fosse più aperto e accogliente verso gli stranieri, anche recitando al Festival di Sanremo un emozionante monologo in difesa di un migrante, oggi si indigna perché il ruolo di un grande italiano, che sarebbe poi Ferrari, sarà affidato in un prossimo film ad un attore straniero. Molti gli hanno dato ragione, dimenticando che l’essenza del mestiere di attore consiste proprio nel saper fingere di essere altro da sé. Un uomo può recitare parti da donna, un giovane fare il vecchio e così via.
Una presidente del Consiglio, che sarebbe poi la Meloni, commentando in televisione l’incarico internazionale prestigioso dato ad un uomo di assolute e riconosciute capacità tecniche, che sarebbe poi Draghi, plaude alla bontà della scelta, non per l’autorevolezza del personaggio, ma perché auspica che terrà un occhio di riguardo per i suoi connazionali. Detto proprio così.
Evidentemente il nostro è un atteggiamento culturale radicato, secolare e difficile da sradicare. Diamo per scontato, noi italiani, che l’amico sia pronto a favorire un altro amico, che un parente “debba” chiudere un occhio per aiutare uno zio, un cugino, una sorella, soprattutto se in difficoltà. E il nostro Paese è sempre in difficoltà…
Anni fa un amico mi raccontava questa barzelletta. Un uomo, appena il fratello vinse il Concorso per diventare vigile urbano in un piccolo paesino, si presentò in Comune per sottoporgli una lista di multe da cancellare per favorire i suoi amici. La risposta fu categorica: “Non se ne parla proprio. Nulla da fare. Ho prima i miei da sistemare!”
Per noi questa è la regola, e addirittura pochi sembrano accorgersi del capovolgimento di senso. Le regole vanno rispettate e questo è giusto. Ma per amici e parenti si deve sempre chiudere un occhio. Così i nostri compaesani in Europa, anzichè lavorare per l’Europa, dovrebbero lavorare per noi.
Il sociologo americano Banfield introdusse il concetto di “familismo amorale”, nato dai suoi studi sul campo nel mezzogiorno d’Italia, per trovare radici culturali all’arretratezza di alcune realtà.
A me piace citare il grande Leo Longanesi, secondo cui l’Italia poggiava sul sacro principio del “Tengo famiglia”, un alibi secondo cui diventa una giustifica l’esigenza di aiutare e proteggere persone care. E ho detto tutto…