SIAMO GHIOTTI DI GRANO CANADESE (GUSTO ERBICIDA)

Un’inchiesta giornalistica apparsa sulla testata “Toronto Star”, a firma della giornalista Marie-Claude Lortie, ha riportato una delle più ampie indagini sulla controversa questione del grano duro canadese che viene importato in Italia e sulle pratiche agricole che in quel Paese prevedono l’utilizzo del tristemente famoso erbicida avente come principio attivo il Glifosate.

Un’indagine nata quasi per caso da una conversazione della giornalista con un produttore italiano di pasta. Durante il colloquio all’imprenditore è sfuggita una frase sul grano canadese e sull’utilizzo dell’erbicida.

La frase ha letteralmente colto di sorpresa la giornalista, che aveva sempre pensato il grano nordamericano come un fiore all’occhiello dell’agricoltura di quel paese. Una credenza diffusa che alberga anche nelle istituzioni politiche canadesi, a tal punto che la vicepresidente della commissione Agricoltura del Senato Paula Simons, interpellata sull’argomento, ha così risposto: “Che cosa? Il nostro grano? Ma è qualcosa di cui essere orgogliosi! Penso anche che il nostro grano duro sia il migliore del mondo”, anche se ha dovuto ammettere di non aver mai sentito parlare dell’utilizzo dell’erbicida da parte degli agricoltori canadesi.

La pratica al centro di queste controversie è l’uso, in pre-raccolta, da parte degli agricoltori canadesi di un potente erbicida chiamato glifosato, che non è altro che il principio attivo del Roundup, un prodotto commercializzato dalla società statunitense Monsanto, acquisita dalla multinazionale tedesca Bayer nel 2018. Attualmente è l’erbicida più diffuso al mondo.

Ma l’impiego del Glifosato trascende dalla sua destinazione originaria di erbicida e viene, lì dove permesso, impiegato come disseccante di colture altrimenti impossibilitate a maturare. La sua presenza, oltre che nel frumento, si riscontra anche in moltissime leguminose quali lenticchie, ceci, fagioli, etc.

Il mondo della ricerca e delle istituzioni preposte al controllo non si è mai espresso in maniera univoca sulla tossicità di questo composto chimico: nel 2017, il “Guardian” ha scoperto che molte parti del rapporto dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) per la valutazione dei rischi dell’uso del glifosato, erano state esattamente copiate dalle richieste di rinnovo dell’autorizzazione da parte delle aziende che lo producono.

Gli stessi “Monsanto Papers” hanno rivelato la corruzione di scienziati e giornalisti per la realizzazione di studi negazionisti sui danni del glifosato.

La prima dichiarazione di un Ente pubblico sulla tossicità del glifosato porta la data del 1993, quando l’EPA statunitense classificò il glifosato come gruppo E, evidenziando la mancanza di prove per la cancerogenicità nei confronti dell’uomo.

Tuttavia da quel momento, ulteriori studi, i cui risultati sono inclusi nella Monografia 112 sul glifosato dell’Agenzia per la ricerca sul cancro (IARC), pubblicata il 29 luglio 2015, hanno convenuto sulla cancerogenicità del glifosato e hanno portato alla sua inclusione nel gruppo 2A (probabilmente cancerogena per l’uomo).

L’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha invece espresso un giudizio più accomodante, ma le sue valutazioni appaiono oggettivamente troppo simili a quelle fornite dalla ditta produttrice.

Ma, al di là di ogni valutazione scientifica, è la Bayer stessa a dare una dimensione del problema: a fronte delle numerosissime cause di risarcimento civile intentate da moltissimi cittadini statunitensi, ha accantonato a bilancio qualcosa come dieci miliardi di dollari per farvi fronte. Un’implicita ammissione di colpevolezza.

In Italia il glifosato si può usare, ma con molte limitazioni. Il suo impiego è espressamente vietato per favorire il disseccamento di colture come il frumento, ma nessuna norma impedisce l’importazione di alimenti o materie prime che ne includono la presenza.

Il Canada, paese in cui si utilizza ampiamente il Glifosato per la maturazione del grano, è il primo fornitore di grano duro per l’industria alimentare italiana. Si calcola che circa il 40% del grano che consumiamo sia importato.

È un segreto di Pulcinella che alcuni coltivatori canadesi utilizzino il prodotto per il suo effetto secondario più controverso, ovvero provocare la maturazione artificiale del grano, altrimenti impossibilitato ad essere raccolto.

A seguito di questo uso improprio, numerosi test condotti per conto di riviste quali “Il Salvagente” hanno rivelato la presenza di glifosato in farine, biscotti, pasta, fette biscottate e corn flakes.

Sotto la pressione di dati conclamati e delle relative prese di posizione di associazioni di consumatori e privati cittadini, ma soprattutto grazie all’obbligo di indicare in etichetta il paese di provenienza della materia prima, nel 2018 Barilla ha dichiarato di aver smesso di acquistare grano duro estero per il mercato nazionale italiano della pasta.

Ma oggi, nel 2022, in Italia non c’è un accordo generale sulla questione del grano estero. Dal 2018 sono cambiate tante cose e il grano canadese sta tornando nei pastifici italiani.

Secondo le statistiche della Banca Mondiale, nel 2021 sono sbarcate in Italia 839.000 tonnellate di grano duro canadese; quasi 1,6 milioni di tonnellate nel 2020; 881.000 tonnellate nel 2019. Mentre nel 2018 sono state importate appena 293.000 tonnellate di grano nordamericano.

Da una parte le tensioni geopolitiche e dall’altra una marcata convenienza economica, hanno riportato, in grande stile, le navi con il grano canadese nei nostri porti.

Emilio Ferrari di ITALMOPA e Barilla non ha voluto rilasciare dichiarazioni alla giornalista canadese sulle modalità di acquisto di grano estero dell’azienda di Parma, così come il personale delle pubbliche relazioni della multinazionale.

Le dimensioni con cui il grano canadese è oggi utilizzato in Italia per produrre la pasta sono diventate un segreto industriale impenetrabile, come se la sua cattiva reputazione lo rendesse inutilizzabile, ma la realtà del mercato e della produzione industriale lo rendessero indispensabile.

La giornalista canadese ha scritto che in Italia nessuno dice di usare il controverso grano canadese, ma tutti conoscono qualcuno che lo usa, così come in Canada nessun agricoltore dichiara di usare il glifosato per essiccare il grano, ma tutti conoscono qualcuno che l’ha fatto.

Nell’inchiesta viene anche riportata una delle probabili cause dello scoppio dell’affaire grano canadese/glifosato, ovvero l’eliminazione 10 anni fa da parte del governo federale di Stephen Harper del Canadian Wheat Board, l’unico venditore di grano canadese sui mercati internazionali.

Il Wheat Board, secondo alcuni, fungeva da calmieratore dei prezzi, mentre i nuovi esportatori non si sono limitati come avveniva in passato a compensare la differenza tra la domanda e l’offerta, ma hanno cominciato a competere con gli agricoltori italiani. Ed è stata proprio questa vicenda a fare da detonatore per lo scoppio della guerra del grano; una sorta di barriera non tariffaria denunciata dagli agricoltori italiani, all’indomani dei negoziati sul trattato di libero scambio tra Canada e Unione Europea.

Ma, comunque la si pensi, la dichiarazione che più di tutte illumina sullo stato dell’arte l’ha fornita Riccardo Felicetti, presidente di Unione Italiana Food, l’associazione che rappresenta i pastifici italiani: ‘’Il grano duro di grado 1 del Canada occidentale è uno dei migliori al mondo”, chiosando con un definitivo ‘’Inoltre, ne abbiamo bisogno’’.

Necessità fa virtù.8

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