SIA CHIARO, SINNER E’ ITALIANO

di TONY DAMASCELLI – In famiglia non risulta un solo onomastico patriottico, nel senso nostrano: la madre fa Siglinda, il padre si presenta come Hanspeter, il fratello è Marc e lui si chiama Jannick. A tavola e in rifugio si parla tedesco. Ma Jannick Sinner è tutta roba italiana, idolo del tennis, di anni ruggenti diciannove, quelli che dovrebbero portarlo a frequentare discodance, spiagge, happy hour.

Lassù sulle dentate vette, dove il ragazzo prese a sciare già a quattro anni, nella valle più bella del mondo, nessuno avrebbe immaginato che Jannik avrebbe tradito le racchette da sci per scegliere l’attrezzo adatto a una elegante volée o un micidiale ace. Prima o poi, si diceva, gli partirà una jodel e si metterà a tagliare legna, magari ispirandosi al trentino Mauro Corona. E si andrà di strudel e balli in val Fiscalina.

Gli è invece partito un rovescio micidiale, uno di quei colpi da baseball, per come fa girare la “mazza”, più che da lieve danza all’ora del the, secondo definizione antica di questo sport da circolo, un colpo, dunque, per battere Pospisil, cognome da farmaco per il raffreddore, e a Sofia è stata davvero festa, tutta italiana, con il vincitore più giovane di sempre (italico) in un torneo ATP.

Sgombero immediatamente la tavola piena di zucchero a velo: il ragazzo ha lasciato i monti della val Pusteria e ha preso domicilio e residenza a Montecarlo. Così devono fare i nuovi campioni, mica sottostare a Equitalia, si cambia campo e dimora fiscale e la vita sarà ancora più bella.

Sinner, comunque, è qualcosa più di una speranza, gli esperti avevano previsto tutto sin dai tempi del disgelo, Jannik è predestinato, Jannik è l’erede di Panatta. Alto, potente, acchiappante per le ragazzine e non soltanto, niente affatto selvaggio come il Rafa di Spagna, freddo ma non algido come Roger, infine bello fresco come deve essere un millenial che ha messo la faccia su uno sport da ricchissimi.

Di questi tempi da isolamento a tre colori, ci riscopriamo tennistologi, docenti di backspin, teorici dello slice, profeti del set point, andiamo a rete già dal risveglio mattutino, scegliamo di essere pallettari. Jannik è il nostro riscatto, è la bandiera da piantare su qualunque superficie, cemento, terra rossa, tartan, erba, quella vera mica il fumo malvagio di certi suoi coetanei e mica soltanto coetanei.

Se tradirà le premesse e le promesse dovrà scappare nel rifugio che Siglinde, cameriera, e Hanspeter, cuoco, hanno a San Candido. Per non farsi riconoscere, parlerà tedesco. Per il momento è nostro e canta l’inno di Mameli. Senza jodel.

 

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