SENTIRSI PIU’ RAPPRESENTATI DAI MANESKIN CHE DAL PAPA

Succede anche questo, ai credenti d’oggi. A qualcuno di loro, quanto meno. Proprio a Pasqua, tra l’altro. Gli smandrappati provocatori del rock che si vestono da donna (i maschi: l’unica donna si veste da uomo) salgono sul palco e tra una canzone e l’altra non usano giri di parole per mandare il loro messaggio: povera Ucraina, fuck Putin (non c’è bisogno di un master in inglese per intuire l’espressione). Punto. Non serve altro, ai Maneskin.

Certo non è una prova di particolare coraggio urlare questa cosa in America. Un po’ più complicato in Cina o anche solo in Italia, con tutti questi prudentissimi equidistanti in circolazione.

Resta però il pregio della chiarezza e della fermezza. I ragazzi della trasgressione assumono la posizione più piana e normale che ci sia, almeno quando ci si limita a constatare l’esistenza di un aggredito e di un aggressore.

Un bel sentire, di questi tempi. Anche per chi non è particolarmente fan dei Maneskin e del loro rock. Ma anche per i cristiani che pendono dalle labbra del loro Papa, dal quale ancora aspettano una presa di posizione nitida. Certo nessuno immagina e tanto meno si aspetta di sentire dal Vaticano un inequivocabile fuck Putin. Non esiste proprio. Però un minimo sindacale di giustizia e chiarezza, in una situazione simile, è atteso. Non per amore della guerra, ma per amore delle vittime di un tiranno sanguinario.

Invece, mentre i Maneskin alla prima occasione utile esprimono chiaramente il proprio sentire, stiamo con l’Ucraina, al diavolo Putin, dal Santo padre si continua a sentire soltanto il frasario di sempre, basta guerra, la guerra è crudele, deponete le armi, fate prevalere la ragione, cioè le frasi buone sempre e in tutte le stagioni. Dopo due mesi di massacri crudeli, tanti credenti ancora aspettano di sentire il nome di Putin, dalle parti del Vaticano. Mai pronunciato, nemmeno di striscio. Nessun dubbio che il Papa provi un’indicibile compassione per gli ucraini, ma gli manca il passaggio successivo: dire Putin piantala, Russia piantala. E va bene la prudenza, e va bene l’equilibrio, e va bene la diplomazia, ma in questo caso finiamo dritti nell’ambiguità, nella nebbia, nella confusione dei ruoli. Con il sospetto che il Papa abbia paura di dire che c’è un cattivo chiaro e definito, a perseguitare le vittime per cui tanto soffre, prega, piange. Si parla in continuazione di quant’è brutta la guerra, mai un’occasione per chiamare il male con il suo nome. Almeno stavolta, che è così evidente a tutti.

Ci rispiegheranno che il Papa non può fare come i Maneskin. E ci mancherebbe altro. Non c’è bisogno che ce lo ripetano. Però basterebbe fare come si legge nel Vangelo. Leggendo quel testo, si possono avere mille reazioni, ma nessuno, mai e poi mai, potrebbe dire che è ambiguo, vago, allusivo. Se ha un dono, eterno e indiscutibile, è la sua chiarezza. La sua fermezza. Anche la sua tagliente scomodità. Il protagonista di quei racconti non le mandava mai a dire. Non usava giri di parole. Non usava mille prudenze per non urtare troppo il potente di turno. O forse ho capito male io?

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