SE SIAMO AL PUNTO CHE LA MEGA-EUROPA CE LA FA MUSK

Elon Musk è uno che sembra fatto apposta per sballarle grosse: ha il faccione di un sensale della Bassa e un fisico adeguato. Fa le smorfie, mette cappellini buffi, saltella e balletta: insomma, se non fosse l’uomo più ricco del mondo, nessuno gli darebbe retta. Invece, è appunto il più ricco di tutti e questo gli permette di mettere in atto ogni suo progetto: perfino quelli che ci sembrerebbero battute da avanspettacolo.

Però, devo dire che la sua ultima sparata mi trova d’accordo. Sto parlando di MEGA, la nuova trovata del magnate americano, che fa il verso al celebre MAGA del suo mentore Trump: Make America great again. Naturalmente, la E di MEGA sta per Europe: fai di nuovo grande l’Europa, suggerisce Musk, col suo solito stile riservato. E figuratevi se non sottoscrivo: un’Europa grande e unita sarebbe il mio sogno. Il punto è che ho paura di avere un’idea di Europa che non collimi perfettamente con quella del riccone americano o, meglio, dubito che la grande Europa che ha in mente lui sia la stessa che ho in mente io.

Perché, per me, una grande Europa significa, in primo luogo, un’Europa che non sia genuflessa davanti agli Stati Uniti, mentre mi pare di capire che Musk se la immagini succedanea degli States: una specie di contrappasso della guerra dei sette anni. Giacchè io dubito fortemente che uno che si esalti per l’idea di far tornare grande l’America possa pensare che ciò avvenga con un’Europa autonoma, indipendente e, soprattutto, forte: ne deduco che noi dovremmo essere, nella pittoresca Weltanschauung di Elon Musk, una specie di cinquantatreesimo stato dell’Unione: magari uno stato più colto e meno produttivo, tipo, chessò, il Rhode Island. E, in tutta franchezza, l’idea di fare il Rhode Island dell’America di Trump non è che mi sconfinferi granchè.

Adesso, ammesso e non concesso che quella del magnate non sia una battuta ad effetto, ma un’idea reale, resta da vedere come la prenderanno i nostri politicanti, per i quali, come credo si sappia, io non nutro particolare stima. Destra e sinistra, per dire in breve, passano il tempo in un ondivago balletto: quando la prima va a Washington col cappello in mano, la seconda grida al servilismo e, a ruoli invertiti, quando a governare e a mendicare è la seconda, il sovranismo è sulla bocca di quelli di destra. Insomma, una specie di gioco delle parti che, francamente, trovo stucchevole. All’atto pratico, però, poco o nulla è cambiato dai tempi di De Gasperi o di Moro, quando gli Stati Uniti decidevano alla luce del sole la nostra politica, tanto estera che interna, e questo ci ha sempre aiutato a superare le crisi, ma ci ha anche costretto a snaturare la nostra vocazione continentale, di ponte tra est e ovest e tra nord e sud d’Europa.

Ai tempi della Guerra Fredda, eravamo un confine militare, ma oggi la Guerra Fredda non c’è più. Almeno credo. Sicchè, sarebbe forse tempo di guardare all’Europa con occhi diversi. Non con quelli di quel sacrestano di Prodi, che, dopo aver inanellato un disastro dietro l’altro, dall’IRI all’Euro, ha ancora il coraggio di sentenziare, ma nemmeno con quelli del MEGA di Musk, per le ragioni che spero di aver chiarito. Ci vorrebbero gli Stati Uniti d’Europa: quelli sì che farebbero grande il vecchio continente. Una federazione vera, con un ragionevole “sacrificium nationis” in cambio di una solidità strutturale e politica a tutta prova: scuole, esercito, economia in comune. Ma, quando si arriva al dunque, prevalgono sempre gli interessi nazionali: quella maledetta mentalità, nata con il trattato di Versailles, domina ancora le menti dei politici europei. Anche per questo l’idea di rendere di nuovo grande la nostra casa ce la dobbiamo far spiegare da uno yankee multimiliardario, laddove essa dovrebbe, viceversa, albergare nel cuore di ognuno di noi.

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