SE PERSINO GILETTI FA L’INCOMPRESO

di GIORGIO GANDOLA – Ceci n’est pas une pipe. L’ha messa sul culturale come se quel video a tutto schermo fosse un Magritte. Invece faceva ribrezzo. L’immagine incriminata è nota, il Vesuvio che erutta Covid nel golfo di Napoli, sfondo a “Non è l’Arena” dedicata (colpo di scena) alla pandemia.

Travolto dalle polemiche per il cattivo gusto e per il riferimento neppure troppo velato a un’eruzione spontanea di virus, Massimo Giletti si è difeso attaccando: “Voleva dire l’esatto contrario, voleva sensibilizzare la gente sul pericolo pandemico. Il ragazzo che ha fatto questa grafica è un ragazzo meridionale, la scorsa settimana mi propose questa idea dell’analogia tra il pericolo del Vesuvio che erutta e il fatto che il virus rappresenti un rischio di portata similare”.

Si avverte lo stridore di unghie sul vetro, è brutto comunque, di questi tempi ogni genialata giornalistica sul virus non si sopporta più. Contate i guariti e i morti, fateci sapere se ci sono novità sul cocktail di farmaci per combatterlo, diteci se il vaccino è a buon punto. E quando l’Ema ne certificherà l’efficacia, informateci sul piano per diffonderlo il più possibile e quello per convincere gli italiani – ormai giustamente sfiniti dal circo mediatico dei virologi da prime time – a mettersi in fila per riceverlo. Il resto è luna park di cattivo gusto, inutile inventarsi fenomenologie artistiche per giustificare trovate impresentabili. Anche perché simili miserie grafiche non fanno che alimentare il peggio che alberga in noi.

Il Vesuvio untore sembra effettivamente quello sognato negli anni 90 dai beceri frequentatori di certe curve. Ora che neppure negli stadi è più di moda il genere (anche se qualcuno si ostina a tenerlo in vita), si riparte dalla Tv. Accusato di antimeridionalismo sui social, Giletti replica ancora così: “Io ho il 70% di persone che lavorano con me che è meridionale e ancora devo sentir ripetere queste storie, nonostante i miei programmi portino avanti da anni battaglie per il Sud. Non voglio che sia un elemento di vanto, perché è il mio lavoro e lo faccio con passione, ma certe volte diventa avvilente. Io inizialmente mi sono detto che non dovevo scuse a nessuno, perché secondo me è assurda questa puntuale dietrologia contaminata da vittimismo”.

È brutto dire a qualcuno che se l’è cercata, ma Giletti se l’è cercata. E l’ha trovata, si è imbattuto esattamente e chirurgicamente nella solita tempesta perfetta. La difesa è debole e corriva, il dover precisare che fa lavorare molti meridionali significa che li ha contati, che riesce ancora a cogliere nell’accento diverso le differenze di professionalità. Nel bene e nel male è un autogol alla Niccolai, da fuori area. E oltre a farci scuotere il capo nel constatare il livello del pollaio, ci costringe a pensare ad altro, a tornare un attimo con la memoria a qualcosa di simile accaduto a marzo e ad aprile nel silenzio generale. Ci fu un periodo in cui sembrava che il Covid uscisse dal lago d’Iseo con le pinne e la maschera, scendesse dal Mortirolo o dalla Grigna. I camion con le bare uscivano da Bergamo in un cupo silenzio di pietà e dolore, ma oltre il Po era vergognosa canea.

Quello che oggi i napoletani avvertono sulla loro pelle e li fa giustamente gridare “vergogna!” se lo sentivano addosso i lombardi. Allora gli untori erano loro, così venivano additati in una squallida corsa al peggior campanilismo nichilista. Il punto più basso lo raggiunse Michele Serra con quell’editoriale contro i lavoratori bergamaschi travolti dalla loro stessa propensione a “non mollare mai”. Com’era brutto il cielo manzoniano di Lombardia, in marzo e aprile. Quando le vittime venivano canzonate perché più vittime di altri. Allora chi era già distrutto dal dolore e dalla paura dovette subire in silenzio i morsi dei denigratori e dei giornali scatenati nell’effetto fronte. A ruota libera, senza pudore. Almeno adesso qualcuno reagisce, qualcun altro si ribella. E c’è chi scrive additando la bassezza di un’immagine assurda. Prima ondata, seconda ondata. È vero, non impariamo mai niente.

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