di GIORGIO GANDOLA – Dire che a Parigi ci sono troppe donne, ne converrete, è una banalità da misogino incapace di stare al mondo o da moglie gelosa e un po’ frustrata. In Faubourg st.Honoré c’è la modella con le gambe che partono dalle spalle, cammina in fretta trascinandosi al guinzaglio un bassotto di nome Ugo. In rue de Sèvres, nella fromagerie Palomar (quella di Calvino), c’è la commessa dal capello nero cortissimo e dagli occhi di fuoco che ti venderebbe un gorgonzola che cammina anche se hai il colesterolo a 500. E sotto la piramide del Louvre c’è una ragazza italiana che si chiama Gioconda, è lì da 500 anni (il furto di Napoleone è una delle prime fake news dei giornalisti dell’epoca) e sorride sempre allo stesso modo. A prima vista sono solo tre.
La quarta è la sindaca Anne Hidalgo, messa alle strette dallo Stato per discriminazione: troppe quote rosa. L’infrazione è unica per originalità e cavillosità, ma la multa è concreta: 90.000 euro su carta intestata del ministero della Funzione pubblica. Un dirigente maschio ha fatto due conti e ha scoperto che alle funzionarie della capitale è slittata la frizione: delle 16 nomine dirigenziali effettuate due anni fa, 11 scrivanie sono andate a donne, solo 5 a uomini. Multa.
La sindaca ha protestato, è partita da lontano e ha fatto notare che nei 30 anni precedenti lo sbilancio era stato clamoroso in senso inverso. Ma la legge è la legge e i burocrati sono tutti uguali non solo nella scelta delle cravatte color vino: obiezione respinta perché quell’11-5 significava il 69% ”che non rispetta la quota minima del 40% per ogni sesso stabilita per legge dal 2012”. Carta canta, Parigi paga.
Finita la cronaca e metabolizzata la sorpresa (di solito le quote rosa violate riguardano l’altra metà del cielo) comincia a pervaderci una vaga sensazione di libertà plastificata, di ricerca forzata di una parità da partita di tennis: sul sei pari si gioca il tie break.
Ha senso tutto questo? Non lo sappiamo. Di sicuro, dopo essere state vessate e marginalizzate per secoli dalla società, le donne stanno raggiungendo con fatica e un pizzico di giustificata rabbia competitiva il ruolo che meritano. Oltre lo stereotipo dell’angelo del focolare che confina inevitabilmente con la casalinga disperata, oltre la definizione molto maschile dalla donna manager che calpesta le carriere altrui con il tacco 12. Nei miei dieci anni di direzione di giornali posso rivelare qui per la prima volta che in redazione le donne hanno una marcia in più, non si arrendono mai, riescono a far collimare la notizia dell’ultima ora con la famiglia, il morbillo della figlia maggiore e le mefitiche magliette dei mariti reduci dalla partita di calcetto da fiondare in lavatrice. Davanti a un cambio di mansioni o di sede ho visto piangere uomini “con l’odore di tabacco inglese e la barba rasata”, mai donne. Capaci di odiarmi in silenzio ma di raccogliere la sfida e vincerla.
L’argomento è complesso e scivolare nel luogo comune è un attimo. Meglio chiuderla qui e affermare con cognizione di causa che in un ipotetico mondo ideale gli uomini stanno dalla parte del problema e le donne da quello della soluzione. Tranne che in un caso letale: quando si accorgono che a competere con loro ci sono altre donne. Allora avverti nell’aria l’ansia da prestazione, senti la tromba del Deguello pervadere l’aria e vedi la scena prendere velocità per arrivare alla resa dei conti. Divagazioni, niente di più. Per la sociologia meglio rivolgersi altrove.
A Parigi sanno cosa fare, vale a dire continuare a trasgredire, dare fiducia alle signore, lasciarle libere anche di sbagliare. Superare il vecchio motto ”le idee sono buone, ma la costola è malandata” (Giorgio Gaber) è un vantaggio per tutti. Eva è viva, vegeta e tira il gruppo. Novantamila euro di multa sono spiccioli per una metropoli capace di gettarsi dietro le spalle le percentuali e di lasciare che siano il merito, la grinta, la competenza a decidere chi vince. Ogni giorno, tutti i giorni.
In realtà a Parigi, di donne, non ce ne sono mai abbastanza. L’unico problema è cambiare strada in prossimità delle vetrine di Hermès. Qualche problema, madame?