di CRISTIANO GATTI – Svegliarsi e sentirsi stranamente un po’ più vuoti e un po’ più miseri. Se n’è andato Giampaolo Pansa, per me una mutilazione. Le classifiche sono sempre relative, ma parlandone da vivo – perchè poi da morti sembriamo tutti santi e geni – lo metto in cima alle mie preferenze: anche sopra Bocca e Montanelli, per schierarmi fino in fondo. E certo, nel giardino dei migliorissimi ci sono anche i Feltri, gli Zucconi, i Gramellini, i Serra. Indipendentemente dalle idee e dalle ideologie, indipendentemente dal condividerli o no.
Ma Pansa vince al fotofinish. Era genio. Non tanto e non solo per quello che diceva, ma per come lo diceva. Mi riferisco a un valore che ormai non esiste più, estinto, tragicamente annientato dalla velocità e dalla superficialità di Internet, nonchè dalla pochezza palancaia degli editori: la grande abilità nella scrittura, l’originalità di uno stile che fa sembrare le stesse cose e gli stessi fatti di tutti qualcosa di unico e speciale.
Pansa era il numero uno: profondo nei contenuti, leggero nel divulgarli. Nessuno più come lui. Però sarà bello sapere che c’è stato e che molto ha lasciato. Lo metto lì, sulla mensola dei ricordi migliori, accanto a Battisti e a Dalla, a Seneca e a Voltaire, tutti autori che hanno firmato a modo loro la colonna sonora della mia vita.