SE L’ITALIA DIPENDE DAL CORAGGIO DI FEDEZ

di PIER AUGUSTO STAGI – Primo maggio su coraggio e Federico Leonardo Lucia in arte Fedez di coraggio ne ha avuto da vendere. Coraggio di dire quello che pensa, dall’alto dell’articolo 21 della nostra Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”). Dirlo bene, con chiarezza, con trasporto e con quel giusto e sano senso teatrale consono di un artista, è nelle corde di Fedez. Il fatto che si sia d’accordo o meno su quanto espresso al Concertone del 1° maggio poco importa, quello che conta è che Fedez sia riuscito a dirlo, sulle reti Rai, per essere più precisi su quella rete TRE che dovrebbe essere già predisposta ad un certo tipo di argomenti e argomentazioni. Dovrebbe avere quell’apertura al pensiero libero e progressista che invece viene costantemente messa in discussione.

Fedez, dall’alto del proprio nome, della propria fama, di una moglie popolare e influente come lui se non più di lui, che possono vivere per il resto dei loro giorni anche lontano da questo Paese misero e miserrimo, si è speso portando alla luce le ennesime contraddizioni di un pensiero debole, fatto di ideologie a discapito di asserzioni più che articolate.

«Sappiate che questo discorso è stato ritenuto inopportuno dalla vicedirettrice di Rai3. Ovviamente da persona libera mi assumo la responsabilità di ciò che dico e faccio». Così ha esordito il rapper sul palco del Concertone, dopo che il suo intervento, a partire dal pomeriggio e ancora prima che fosse pronunciato in diretta tv, ha provocato le minacce della Lega e l’agitazione dei vertici dell’azienda.

Al centro del discorso i lavoratori dello spettacolo, per i quali ha chiesto l’intervento anche di Mario (in questo caso Draghi, ndr), e ha puntato l’indice sull’ostruzionismo del Carroccio e degli antiabortisti al ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia. «Il Senato ha tempo di ridare il vitalizio a Formigoni, ma non di tutelare i diritti di chi viene discriminato», ha incalzato Federico Leonardo Lucia, elencando una serie di attacchi pubblici alla comunità Lgbt pronunciati negli anni dalla Lega. «Se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno», Giovanni De Paoli, Lega Liguria; «I Gay comincino a comportarsi come tutte le persone normali», Alessandro Rinaldi, Lega Reggio Emilia; «Gay vittime della aberrazioni della natura», Luca Lepore e Massimiliano Bastioni, consiglieri regionali Leghisti.

La cosa bella, il capolavoro, arriva direttamente da viale Mazzini, che dopo il discorso di Fedez, che non sarà il discorso del Re, ma ha comunque l’effetto di svegliare parecchi principi azzurri addormentati sui loro divanetti, provano a smentire dicendo che non hanno assolutamente provato a censurare niente e nessuno. Mai detto a Fedez di adeguarsi al sistema. Hanno solo semplicemente “raccolto i testi”, come “consuetudine”. Ma Fedez, che non è tonto e nemmeno sprovveduto, ha pensato bene di pubblicare in un amen la videoregistrazione della chiamata in vivavoce: nella conversazione si sentono la vicedirettrice Ilaria Capitani e il capo degli autori Massimo Cinque chiedere al cantante di “adeguarsi a un sistema” e di togliere le citazioni con nome e cognomi “che non possono essere fatte” perché “editorialmente inopportune”.

Dopodiché il solito minuetto dei soliti noti più o meno contenti. Salvini che nel pomeriggio aveva twittato contro “i comizi di sinistra pagati dagli italiani”, su Facebook ha rilanciato l’invito di qualche giorno fa a Fedez a bere un caffé “per parlare di libertà e di diritti”. Soddisfatto e riconoscente il deputato Pd che dà il nome al disegno di legge, Alessandro Zan: “Il coraggio di Fedez dà voce a tutte quelle persone che ancora subiscono violenze e discriminazioni per ciò che sono. Il Senato abbia lo stesso coraggio ad approvare subito una legge per cui l’Italia non può più attendere», ha scritto su Twitter. Ma una delle battute più esilaranti arriva dall’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della tivù di Stato, che sbarca da Marte per annunciare una clamorosa scoperta: «In Rai c’è partitocrazia». Ma dai? E come in tutte le rappresentazioni che si rispettino, dopo pensieri e parole pesanti, una fragorosa e liberatoria risata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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