di MARIO SCHIANI – Dal pianeta dei giovanissimi arriva un’altra storia che noi adulti – diciamo pure, “vecchi” – non possiamo comprendere, se non in termini emozionali: turbamento, sconcerto, indignazione.
La storia è quella di Maria Chiara, studentessa di Amelia, provincia di Terni, morta per overdose nel giorno del suo compleanno: l’eroina, procurata dal “fidanzato” Francesco, sarebbe stato un “regalo per i 18 anni”.
Quello che a noi sembra il traguardo dell’età matura, premiato con la consegna di un pacchetto di libertà nelle quali si riflettono corrispondenti responsabilità (l’età giuridica, il diritto di voto, la patente), in questo universo appena rivelatoci dalla cronaca viene invece festeggiato con la fuga dall’una e dall’altra: l’asservimento a una sostanza stupefacente per trovare rifugio in un nembostrato di instupidimento.
Per non rimanerne troppo sconvolti, finiamo per cercare tra le righe, non senza ipocrisia, i soliti riferimenti a situazioni “di margine”, ovvero “borderline”. Quegli strati della società che non fatichiamo ad allontanare da noi, a respingere come troppo diversi e alienati: a noi e ai nostri figli “normali” una cosa del genere con passa nemmeno per la testa.
E invece no: tutto sbagliato. Maria Chiara non era una ragazza “di margine”, tutt’altro. Si scopre che studiava con profitto e faceva sport, arti marziali, con altrettanto successo: per due volte era stata campionessa italiana. Neppure la si poteva dire disattenta ai pericoli della tossicodipendenza, perché suo padre lavora nella comunità “Incontro” fondata da don Gelmini.
E allora? Il procuratore di Terni si è lasciato scappare una frase che la dice lunga: “Sembra un film, ma noi vogliamo vederci chiaro”.
Perché un film? Forse perché, come nelle pellicole che cercano di attirare la nostra attenzione, la premessa sta in una normalità che si scopre improvvisamente ribaltata? Dev’essere così: infatti, non riesce difficile comprendere le perplessità degli investigatori per i quali in questa storia c’è molto, moltissimo da chiarire. Non tutto quadra dal punto di vista della ricostruzione dei fatti, basata soprattutto sulla testimonianza del “fidanzato”, c’è parecchio da scavare nelle ore trascorse prima che quest’ultimo si decidesse a chiamare i soccorsi, nel tempo speso dalla ragazza con le amiche quando “stava già male”.
E tuttavia, una volta chiarito tutto questo, ancora ci resterà da comprendere perché una diciottenne evidentemente capace di giudizio e disciplina personale si sia avventurata lungo una strada talmente assurda. Per ora, quanti la conoscevano sostengono che tutto era cambiato dall’incontro con il “fidanzato”. Dal luglio scorso, pare, non c’era stato altro che Francesco e droga, droga e Francesco. Si sospetta dunque una relazione velenosa, alla quale Maria Chiara si sarebbe consegnata con l’abbandono dei 18 anni.
Beninteso, tutto questo ragionare, questa pervicace applicazione nell’accostare pezzetti di realtà, serve a noi soltanto, a sostenere il nostro sforzo disperato di capirci qualcosa, perché attraverso la comprensione crediamo di poter trovare l’antidoto alla paura che questa storia ci fa. Ma è probabile che non sarà possibile capire per davvero che cosa è passato nella testa di Maria Chiara. A noi viene soltanto da pensare che Sartre, in fondo, avesse ragione: “L’inferno sono gli altri”.