SE IL RAZZISMO ARRIVA ALLA CICCIA

di LUCA SERAFINI – Cosa è venuto in mente, alla Tampax? Mica ci vuole un genio del marketing per capire che su un cartellone pubblicitario, in uno spot, sulle foto dei giornali, una bella figliola o un adone tartarugato abbiano più appeal di un mingherlino o di una flaccida.

La casa produttrice di assorbenti, proprietà della multinazionale americana “Procter&Gamble”, è andata invece controcorrente. In maniera insopportabile, per certa parte della fauna social. Una fanciulla bellissima e in carne (Beatrice Bettoni) va in spiaggia, mostrando le curve un filo debordanti attraverso il suo costume ridotto, sfidando gli sguardi sprezzanti di alcune coetanee che la osservano sfilare. Parte lo slogan: “Loro pensano che qui non c’entro niente, ma io non smetterò di fare le mie scelte. Sempre, anche nei giorni del ciclo”. E conclude lo spot ribadendo: “Sono io a decidere”, con la comparsa dell’hashtag #decidoio.

La rivolta dei benpensanti riguarda la protagonista che sfoggia le sue forme con orgoglio, ma in effetti non è poi così grassa e soprattutto – di nuovo – è davvero bella: dunque, una provocazione a metà. Che irrita anche quelle donne che sono davvero ciccione e non quelle soltanto rotondette. La seconda accusa prende di mira la coerenza: che c’entra un assorbente con il messaggio contro il body-shaming, il bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone?

Sul primo punto, niente da dire. Beatrice è bella e paffuta: piace alla stragrande maggioranza maschile come la “Rosalina” di Fabio Concato. Che pubblicizzi Tampax, il costume, la spiaggia o una marca di spaghetti… beh, chissenefrega.

Il secondo punto acclara senza tema di smentita come i “creator” abbiano centrato il punto. Gli assorbenti c’entrano eccome, alla stregua di un costume, di una spiaggia o degli spaghetti: il bullismo è il sottoscala del razzismo e riguarda tutti. Comincia a scuola e si riversa nelle strade insinuandosi in qualsiasi ufficio, o spiaggia appunto. Non è necessariamente una crociata da gang: ciccioni, magrolini, nanetti, spilungoni, quattrocchi, orecchie a sventola, nasoni o semplicemente brutti, finiscono inevitabilmente nel ghetto dell’insolenza, esattamente come i negri e i terroni.

Vi ricordate lo scandalo di “United colors of (vituperati) Benetton”? Il sacro e il profano non lo decidono il marketing, ma la nostra natura classista secondo cui – oltre alla scala sociale – contano i chili oppure i centimetri. Per cui obesi, filiformi, piccoletti o bestioni dovrebbero essere esclusi per esempio da qualsiasi opportunità pubblicitaria e non solo. A me ricorda tanto quella fobia della razza ariana, non so voi…

C’è in sottofondo un conflitto di interessi malcelato. Vivo sovrappeso da una vita e lotto con abbigliamenti scuri che confondano la vista altrui, ricorrendo a bugie pietose come l'”eppure non mangio tanto, sarà il metabolismo…”, indifferente al fatto che dove ancora si muore di fame, il metabolismo non abbia cittadinanza. Quando non è una malattia, e i casi sono rari, l’opulenza è il frutto di vizi e di scarsa misura, poche balle. Mi dicono gli specialisti che sia invece la magrezza ad essere più frequentemente un problema. Problema che io però non conosco. Ho cercato di farmi conoscere per quello che sono, nel bene e nel male, al di là dell’aspetto fisico, ma quando discutiamo e quell’altro ha esaurito gli argomenti, l’ultima parola che puntualmente chiude la contesa è “ciccione”.

Quindi, sto con Beatrice (purtroppo solo idealmente) e con Tampax, perché in una cosa hanno stravinto loro: se ne parla. Molto. E il fatto che se ne parli ha già fatto raggiungere lo scopo. Abbondantemente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *