Una delle cose più terribili della sensibilità degli Italiani è che si abituano a tutto: hanno la capacità innata di assuefarsi a qualunque cosa. E’ per questo, probabilmente, che dominazioni e tirannie sono passate su di loro senza scalfirli: il loro misto di fatalismo e incoscienza, di docilità e di servilismo li ha preservati da eccessivi sussulti, da drammatiche rivoluzioni. E, mi spiace dirlo, i meridionali sono gli arcitaliani: hanno qualità meravigliose, ma, quanto ad insorgere di fronte all’ingiustizia o difendere la propria dignità, paiono davvero piuttosto inconsistenti. Non tutti, non sempre: ma tendenzialmente le cose stanno così. Secoli di cattolicesimo assolutorio e di paternalismo sovrano hanno plasmato un popolo per cui, spesso, le regole sono solo fregature, lo Stato è assente o, peggio, nemico, e se si vuole giustizia, conviene farsela in proprio o ricorrendo alla propria cosca, al clan, alla famiglia.
Prendiamo il caso dell’insegnante malmenata da trenta persone, per presunte molestie agli alunni (pare, poi, che la faccenda sia del tutto inventata e che la vera ragione sia stata una richiesta di sospensione sgradita), avvenuto a Castellammare di Stabia, dove, peraltro, l’anno scorso, un’altra docente era stata picchiata dalla madre di uno studente.
E’ un’emergenza, una criticità, oppure è un fenomeno che stiamo cominciando a metabolizzare come robaccia quotidiana e ci fa meno effetto? Sono certo, perché me lo ricordo bene, che il trentesimo attentato, negli anni di piombo, fece meno scalpore del primo: ci si abitua anche agli assassini e l’emergenza, dai e dai, smette di essere tale. E si smette di affrontarla come tale.
I trenta che hanno picchiato la docente dovrebbero andare in galera: tutti, subito e senza storie. Fossimo in un Paese civile e non in un mondo anestetizzato da garantismi barocchi e sociologia d’accatto, andrebbero in gattabuia di corsa, quei simpaticoni. Ma la cosa, oggi come oggi, appare pura fantascienza: in galera? In trenta? Per una robetta da poco come picchiare un’insegnante, perdipiù di sostegno? Basta una ramanzina in Questura. Sono sufficienti le vibranti proteste delle autorità, dei politici, dei giornalai. E, domani, chi vuoi che se la ricordi, questa piccola storia ignobile? E, d’altronde, chi si ricordava del precedente, datato 2023?
Vedete come funziona, miei cari altropensanti? Un passettino alla volta. Pubblichiamo sui social la filastrocca di Brecht sul fatto che prima sono venuti a prendere uno, poi l’altro e così via, fino alla Shoah, e non ci accorgiamo che il meccanismo è esattamente lo stesso: poco a poco, vincono il disordine, il teppismo, la sovversione. E’ la rana messa a bollire, nell’apologo di Chomsky, se rendo l’idea. Così, tra un po’, ci ritroveremo a commentare altri episodi analoghi e le nostre spallucce saranno sempre più evidenti: a nessuno verrà in mente di dire che Castellammare di Stabia sembra la Tombstone di Wyatt Hearp più che una tranquilla cittadina italiana. Né, tampoco, che quella non è più Italia o, men che meno, Europa. Ma noi, come la ranocchia di cui sopra, ce ne staremo tranquilli e beati, a goderci il tiepidino che sale dal fondo della pentola, ignari di essere il bollito in fieri.
La soluzione cimminiana? Repressione: senza pietà. Un durissimo periodo di rieducazione nazionale, in cui chi sgarra, siano studenti in piazza, genitori rabbiosi o pazienti scontenti, la paghi senza sconti. In chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni, scriveva Dante: è finito il tempo del buonismo, che coincide con la rassegnazione di fronte alle malefatte altrui. Solo così possiamo sperare di invertire la tendenza. Altrimenti, rassegniamoci a vivere in un Paese che sia un unico, enorme, Castellammare di Stabia, in cui certe controversie si risolvono come facevano i Neanderthal nella preistoria. Ma, almeno, nessuna lamentela.