SE IL BIMBO SUICIDA AVESSE GUARDATO PIPPO E PLUTO

di ARIO GERVASUTTI – Ne abbiamo perso un altro. Aveva solo 11 anni, stavolta. Il bambino ha aperto la finestra di casa e si è lasciato cadere, inghiottito dalla notte, a Napoli. Ha spiegato il perché in un biglietto: “Mamma, papà vi amo ma devo seguire l’uomo col cappuccio”.

Chi è l'”uomo col cappuccio”? Si chiama Jonathan Galindo, ed è un personaggio che sui canali social chiede – e ottiene, a milioni – l’amicizia quasi sempre a giovanissimi ai quali lancia sfide con difficoltà sempre più elevate. Da “Riesci a trattenere il respiro per più di 10 secondi?” a “Hai il coraggio di volare dal terzo piano?” il passo non è poi così lungo. Un gioco social, appunto, con le sembianze di un personaggio fumettistico che ricorda lontanamente Pippo, più grigio e deforme. Non è il primo, non sarà l’ultimo gioco mortale diffuso nella rete, dove finiscono per impigliarsi le vite di bambini e adolescenti.

E noi, che siamo cresciuti con Pippo (quello vero) assistiamo increduli e apparentemente incapaci di trovare le contromisure. Apparentemente, sottolineo. Perché in realtà le contromisure ci sarebbero, ma non le attuiamo perché siamo troppo schiavi di meccanismi per così dire “politicamente corretti”. Un esempio? Che ci fa un bambino di 10 anni con il telefonino o il computer in mano sui social di notte? Attenzione: qui non si tratta di colpevolizzare due poveri genitori già distrutti da un dolore insopportabile. Il discorso è più generale e riguarda molte, troppe famiglie; che risponderebbero così: “Che cosa dovremmo fare, togliergli il telefonino e il computer? Ma ce l’hanno tutti i bambini della sua età, come facciamo?”.
Ecco, la risposta è lì, nell’omologazione. Non tiriamo in ballo suggerimenti condivisibili ma inappropriati come “giocate di più con i vostri figli e non lasciateli soli”. Perché sappiamo tutti che sarebbe bello poterlo fare, ma oltre al fatto che i bambini devono anche giocare da soli, i poveri genitori oggi dopo 16 ore nel tritacarne del lavoro tra casa e ufficio o fabbrica o negozio devono anche poter dormire. No, il dito va puntato contro l’omologazione che impone di seguire “la moda” del momento. E’ Facebook? Tutti su Facebook. E’ Instagram? Tutti su Instagram. E’ Tik Tok? Tutti su Tik Tok. E giù fino all’ultimo dei buchi neri, il Jonathan Galindo di turno. Non sia mai che domani a scuola il compagno del terzo banco prenda nostro figlio per “arretrato”.

Ma noi arretrati, noi cresciuti senza social e senza telefonino, come abbiamo fatto? Qual è stato il segreto? Perché un segreto ci deve essere, anche noi abbiamo avuto 10 anni e facilmente restavamo “incantati” di fronte a qualcosa di estraneo, suggestivo, magico. Adesso, dopo qualche anno, credo di avere scoperto quel segreto. Quel “qualcosa” che ci incantava era Pippo, quello vero. Non il suo surrogato mortale. Pippo e gli altri della banda Disney, così melensi e stucchevoli, così fuori moda e intrisi di buonismo. Noi passavamo le ore a rivedere cartoni animati con il lieto fine, oggi i bambini di 10 anni vengono lasciati soli di fronte a immagini che esasperano solo il cinismo della vita, il lato oscuro del gioco. Violenze, combattimenti, morti come niente. E il più bravo è quello che distrugge di più, a partire dai famosi cartoon giapponesi di un’era fa.

Loro ci si buttano dentro, finendo per esserne inghiottiti. Non possono scegliere, loro: sono troppo piccoli per farlo. Possiamo, e dobbiamo, farlo noi. Scegliere tra il Pippo a colori e il Pippo nero, tra un figlio “arretrato” e un figlio vivo.

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