SE CI VANNO LORO LA D’URSO E’ NILDE IOTTI

di GIORGIO GANDOLA – Antonio Gramsci ha chiesto di passare al gruppo misto. Già era barcollato nel vedere la sardina Mattia Santori, apprezzato insegnante di frisbee, in azione nell’Occupy Pd. Ma il colpo finale al simbolo numero uno della sinistra italiana lo ha dato Zingaretti in ginocchio da Barbara D’Urso.

A chi la prima intervista (senza domande) dopo le dimissioni dal comitato centrale? A lei. Dove il primo piano in pullover da uomo liberato da un peso? Da lei. Perché il fattore Carmelita? “Perché contro il populismo bisogna andare dove va il popolo”.

Nessuno gli chiede cosa significa il calembour, tutti applaudono e allora capisci che sta accadendo la solita mutazione genetica cara alla gauche italiana di tutti i tempi: la D’Urso diventa cool. Anzi di più, da adesso è proprio la regina del pop, “capace di interagire con l’alto-basso della società e della cultura popolare”, come avrebbe spiegato il professore anagramma Asor Rosa se fosse stato interessato all’incontro al vertice su Canale 5.

Il miracolo del giorno dopo è stupefacente, trasuda dai giornali, lo si legge nei commenti. Zinga non è riuscito a mettere d’accordo le sette correnti del Pd (sì, sette: ma sia chiaro, contano i programmi e non le poltrone), però è stato capace di formare magicamente un’orchestra spontanea di adoratori di Carmelita. Quella che maneggiava le crisi di governo come crisi mistiche, che recitava il rosario in diretta con Salvini (scomunica!), che trattava i politici come gli eliminati del Grande Fratello, che rappresentava “gli ultimi cascami della diseducativa Tv berlusconiana”, da oggi è un incrocio fra la Gruber e la Palombelli.

È una Nilde Iotti catodica, una sincera democratica. E poiché si scopre che da ragazza votava Pci (c’era ancora Berlinguer, milady si conserva divinamente), sarà certamente una futura risorsa per il Paese. E tu rimani lì di stucco, perplesso e dubitoso come i pellegrini che hanno perso gli amici e la corriera. Ma come, non eravate gli stessi che sparavano a palle incatenate contro le depravazioni di “Drive In”, contro la corrosione dei fulgidi cervelli italici perpetrata per biechi fini elettorali dal Cavaliere nero?

“La questione è complessa”, risponderebbe Walter Veltroni, quello che sdoganò Alvaro Vitali. Potrebbe cavarsela con lo slogan: ”Il bacio progressista trasforma chiunque in principessa”, ma sarebbe troppo facile. Lui che insegnò ai Kennedy i valori fondanti dell’Ulivo mondiale è più propenso a ribaltare McLuhan: il messaggio è il mezzo. Cioè, se dalla Carmelita parla Giorgia Meloni, trattasi di inguardabile esibizione trash. Se parla Zinga è un apostrofo cool nel grigio pomeriggio televisivo. A questo punto il segretario poteva limitarsi a sostituire Franceschini con Mark Caltagirone e tirare dritto.

Il flirt fra i due era cominciato una decina di giorni fa, quando Zingaretti aveva twittato: “@carmelitadurso in un programma che tratta argomenti molto diversi fra loro hai portato la voce della politica vicino alle persone. Ce n’è bisogno!”. Aveva saputo che per ragioni di palinsesto Mediaset stava per chiudere lo show (accadrà a fine marzo) e ha voluto esprimere solidarietà. Così spontanea da meritarsi l’invito e la legittimazione liberal che ne segue.

Poiché nella società liquida tutto scorre e anche per il consenso conformista vale la regola di Andy Warhol (quella del quarto d’ora), il mondo torna normale all’annuncio del successivo ospite. “Ora è con noi Matteo Salvini”. Gelo a Cinecittà, nei circoli Arci e al Salone del libro. E chi è la Barbie sciampista che conduce?

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