SE ALMENO SAPESSIMO COSA FANNO (E COME MUOIONO) GLI EROI IRANIANI

Notizie fredde, gelide anzi, vecchie di giorni, ma se qualcuno ne ha parlato, è sempre più rilevante il fatto che qualcuno non lo abbia fatto.

“Nessuno dovrebbe essere incarcerato per aver espresso le proprie opinioni. La protesta è un diritto di ogni cittadino iraniano. La mia vita finirà dopo questo tweet, ma non dimentichiamo che moriamo per amore della vita, non della morte”.

Queste le ultime parole del giornalista iraniano Kianoosh Sanjari, dissidente politico quarantaduenne, da quasi vent’anni con il mirino puntato addosso. Incarcerato, in fuga verso gli Stati Uniti, di nuovo in Iran al fianco della mamma malata, arrestato, condannato di nuovo. In prigione si ammala, dai medici viene consigliato il rilascio per motivi di salute. Viene trasferito in un ospedale psichiatrico dove riceve scosse elettriche e altre carezze.

L’ultimo atto è la richiesta del rilascio di quattro dissidenti politici. Se non avviene entro il tal giorno e la tal ora, dice che si suiciderà e così è.

Pochi giorni dopo, l’attivista Hossein Ronaghi si cuce le labbra per protesta e indignazione dopo il suicidio di Kianoosh Sanjari. “Forse questo potrà far riflettere, non accettare il silenzio, l’ingiustizia, non lascerò che mi domini la paura di questi tiranni e non lascerò l’Iran. Non pensate di essere al sicuro piegando la testa e preoccupandovi solo della vostra vita”.

Ci sono i giorni, le date, i volti e le parole. Sopra ogni cosa i volti e le parole. Io non ce l’avrei quel coraggio, credo che non l’avrei, ma vorrei averlo. E credo che i giusti dei nostri giorni siano loro. Le persone forti e potenti dei nostri giorni, le persone alle quali ispirarsi, da guardare con ammirazione, rispetto e anche con invidia. Se servono dei nuovi Gesù Cristo, eccoli lì, davanti ai nostri occhi. Uomini.

Per avere quel coraggio bisogna essere giusti e speciali. E servono poche parole, perché i volti e le parole che contano già li abbiamo.

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