SE A 11 ANNI E’ MEGLIO MORIRE CHE ANDARE A SCUOLA CON I BULLI

Conviene forse partire dal fondo. Il fondo è un abisso senza ritorno, tanto per essere chiari, rievocato, chissà con quale angoscia, dall’amica di una mamma: <<La figlia di un’amica si è tolta la vita per bullismo: aveva 14 anni. Non bisogna sottovalutare>>.

Dalle parti di Treviso c’è un ragazzino di undici anni che dichiara, lapidario: <<Meglio morire che andare a scuola>>. Mesi di minacce, insulti, botte reiterate da compagni e ragazzi più grandi, che l’undicenne conosce e dei quali era amico, ma che ora lo considerano <<cacasotto>>, da quando si è sottratto a un gesto di vandalismo, appiccare un fuoco in un parcheggio.

Lui prima ha chiesto al papà di accompagnarlo a scuola, poi, cercando di scoprirne le ragioni, la famiglia ha scoperchiato il vaso, ma il punto è che scoperchiare il vaso nemmeno è metà dell’opera.

Il punto è quella linea apparentemente invalicabile che separa il dire dal fare, perché una volta messa in luce la questione sembra che nessuno possa o voglia fare alcunché per porvi rimedio, sono affari di famiglia, ma solo ed esclusivamente della famiglia della vittima.

I dirigenti dell’istituto scolastico si appellano all’extra moenia, fuori dalla recinzione scolastica non possono fare nulla dicono e già mi permetto di sottolineare che non è vero. Si può fare qualcosa, sempre, in nome del ruolo educativo e civile che ricopre la scuola: ad esempio chiamare a confronto le famiglie dei ragazzi coinvolti, parlare in modo accogliente ma franco con loro, chiedere la loro collaborazione, provare a essere complici per risolvere questo come altri brutti grovigli.

Non è semplice e la scuola ha pure ben altro da fare, giustamente faranno notare, ma la scuola ha anche questo da fare, se si parla di persone per le quali esiste ed ha senso che esista. Non è semplice anche perché le famiglie interessate sembrano sfuggenti, a dir poco. Qualche alleato sui social si trova ad inveire contro il bullismo, ma finisce lì, e i genitori degli aguzzini si girano dall’altra parte, come se non fossero loro figli i bulli vigliacchi: <<Uno mi ha detto che non può fare nulla, un altro mi ha chiuso la porta in faccia>>, dice la mamma della vittima a proposito dei genitori degli altri.

Non è vero che non si può fare nulla, basta volere fare qualcosa, la scuola e soprattutto i genitori dei bulli, anche se significa innanzitutto guardarsi allo specchio e dover ammettere che qualcosa è andato storto e che bisogna fare di più e meglio.

Prima che sia troppo tardi, prima che qualcuno ci ripeta il solito ritornello, quello che conosciamo bene, “non pensavamo che la situazione fosse a questo punto, nulla dava a intendere che la situazione fosse così grave”.

Prima del finale tragico che non deve essere e non sarà.

2 pensieri su “SE A 11 ANNI E’ MEGLIO MORIRE CHE ANDARE A SCUOLA CON I BULLI

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Il bullismo è una piaga che dovremmo prendere per i capelli, buttarla in mezzo alle piazze e spogliarla in mezzo a tutti mostrando quello che si cela dietro. Si celano tante cose, ma non le metterei a carico dei ragazzi, neppure una. Il problema grosso è nostro, di noi che dirigiamo desideri, sogni, imbocchiamo modelli. Peccato che non ce la facciamo, neppure ci avviciniamo ad un paesaggio equilibrato. La stessa identica condizione della violenza sulle donne , per prendere un esempio attiguo e altrettanto buio. La nostra società si è impacchettata con una carta dorata, si è messa un bel fiocco colorata per parere presentabile, e tutti quando la vedono sono quasi contenti. Dentro questo involucro dell’apparenza le famiglie vivono pezzetti di soddisfazione troppo veloce, mentre arrancano nella quotidianità. Non sto parlando di quelli che a mala pena arrivano a fine mese, sto parlando di tutti, anche dei più abbienti. Nella scuola di mia figlia non c’è bullismo, c’è un umore di rivalsa, invidia, emarginazione più sotteso, più elegante perché si tratta di un ambiente “curato” dove “certe cose si controllano”. Ma è proprio osservando ciò che accade in un ambiente più protetto e bigotto che si può immaginare molto facilmente ciò che accade nelle scuole pubbliche. E non solo immaginare, mia figlia è supplente nella media di un quartiere “difficile”, si è vista buttare addosso un banco dal “bullo” della classe perché gli ha messo una nota. Non ce la facciamo perché la nostra cultura del mordi e fuggi sta perdendo per strada i valori. Non ce la facciamo perché le normative fanno acqua da tutte le parti. Non ce la facciamo perché manca il coraggio, la volontà sociale. Io lo dico sempre, mentre i bambini ed i ragazzi vanno a scuola il “patto scuola-famiglia” dovrebbe prevedere un confronto vero, dei corsi, dei momenti veri di scambio. Facile fare figli, troppo. E facile fare gli scandalizzati quando accade l’irrimediabile, troppo.

  2. Johnny Roncalli dice:

    Cara Cristina, io la ringrazio. Non per aver commentato l’articolo, ma per aver espresso pensieri importanti e forti che spingono a riflettere più di qualsiasi commento alla cronaca.

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