SE 4 GIORNI SENZA SMARTPHONE SONO UN’IMPRESA EPOCALE

L’eredità è quella da sempre, ci è arrivata dai nostri genitori e dai nostri nonni che l’avevano ricevuta dai loro genitori e dai loro nonni e via così fino alla notte dei tempi, a ritroso. Quell’eredità è una frase, che ognuno dei nostri avi ha adattato a seconda del suo modo, ma ripete essenzialmente il medesimo refrain: “Era meglio prima”.

Prima quando? A pranzo e a cena, quando la famiglia era riunita al completo intorno al tavolo, e si mangiava insieme. A scuola, quando si studiava perché era l’unico modo per sognare di abbandonare la miseria, ma anche perché il senso era più chiaro: il senso di ciò che si stava facendo e a cosa sarebbe servito. Prima quando? Quando i giochi erano di legno e il pallone un ammasso di stracci, il campo una strada o un oratorio, la palla di gomma era un lusso e quella di cuoio un sogno. Prima, quando a Natale tutti credevano nel Babbo vestito di rosso e con la barba folta, nella pace, nel bene e in un mondo migliore. Qualche volta, i nostri avi calavano l’odioso asso di briscola, “Avreste bisogno di una guerra”, per apprezzare, per pesare, per misurare, “per dare valore a ciò che avete”.

Le nostre guerre sono arrivate, puntuali. Inesorabili, perché l’umanità non sembra poterne fare a meno. Il reset del pianeta passa ciclicamente per le armi, dopo di che non cambia nulla se non che qualche eroe di nuova generazione, si decida a fare qualcosa di serio, di concreto, per se stesso e per gli altri, che non sia imbrattare le opere d’arte per sollecitare l’attenzione sui problemi. Ed eccole, le guerre del Duemila. Prima la pandemia e il lookdown in un conflitto soft per quelli chiusi in casa a mangiare e bere, assurdo e cruento per le migliaia di morti, le loro famiglie, i giovani e gli anziani segregati, le coppie in stretto, nevrotico contatto. Poi quella vera, in Ucraina, che viviamo davanti alla tv ma la viviamo comunque, per le conseguenze indotte e per i cattivi pensieri che ci portano in Cina e in America senza sapere, senza immaginare come andrà a finire. E, soprattutto, se andrà a finire.

Nel suo piccolo, nel loro piccolo, qualcuno ci prova, qualcuno crede sia possibile conoscersi e stare insieme, guardarsi negli occhi e parlare, guardarsi intorno e vedere, ammirare, per poi raccogliersi in pensieri o addirittura preghiere. E’ già successo in qualche posto del mondo, ora è accaduto in Italia dove i giovani (chi, se non loro?) ci provano: vediamo cosa succede a vivere come persone, reali e non virtuali, vivere sociale e non social. E’ stata la volta di 24 ragazzi della terza E della scuola secondaria di primo grado, dell’Istituto Comprensivo di Leno (Brescia). Hanno rinunciato per 4 giorni agli smartphone e camminato per 60 km con lo zaino in spalla.

“Siamo la classe 3 E dell’I.C. di Leno, nella bassa bresciana. Vorremmo percorrere a piedi, come degli antichi pellegrini, un tratto del cammino di San Benedetto”. Iniziava con queste parole l’annuncio lanciato dagli stessi ragazzi per promuovere il progetto. “In questi ultimi anni i costi dei trasporti sono lievitati e le nostre famiglie sono in difficoltà a sostenere la quota dell’autobus. Aiutaci a raggiungere il punto di inizio del nostro cammino: Casamari, in provincia di Frosinone”, spiegavano i ragazzi nell’intestazione della campagna di crowdfunding.

La scuola li ha aiutati, incoraggiati. Del resto l’Istituto comprensivo di Leno è una delle “Scuole Senza Zaino” d’Italia. Con questa espressione si indica un vero e proprio movimento nato nel 2001 a Lucca per innovare radicalmente la scuola ispirandosi ai classici della pedagogia e dell’educazione, da Pestalozzi a Montessori. Il principio alla base di questo movimento e delle scuole che vi aderiscono è quello di mettere in pratica lo slogan montessoriano: “Maestra insegnaci a fare da soli”. Il cammino è durato tre giorni, dal 7 al 9 maggio. Partiti con il sole da Casamari, i ragazzi si sono incamminati per Isola del Liri, e dopo aver attraversato le località simbolo dell’ultimo tratto del cammino di San Benedetto, sono arrivati, con la loro bella mantella antipioggia sotto allo zaino, alla meta. Oggi il movimento Senza Zaino conta 294 istituti e 634 scuole, presenti in tutta Italia.

Ci sarà tempo per avere bisogno degli altri. C’è sempre tempo, nella vita quotidiana. Certo è che chi ha imparato a fare da solo, partirà sempre in vantaggio.

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