SCENA MUTA (PURE TROPPO)

di MARIO COMANA – Da banchiere esperto e da navigato uomo delle istituzioni, Mario Draghi sa quanto le parole che pronuncia siano importanti. E le risparmia. Ma non starà esagerando nell’economizzare qualcosa che, fra l’altro, non costa nulla? Magari sarà perché nel 2012 pronunciò quella frase tanto breve quanto gravida di effetti, quel “whatever it takes (and believe me: it will be enough)”, che tutti ricordano ancora oggi, a 9 anni di distanza. Tutto un altro stile rispetto alla politica chiacchierata, addirittura urlata a cui siamo stati abituati negli ultimi tempi (forse non solo gli ultimi). E poi, che bello non dover rincorrere i mille roboanti annunci, incomprensibili a chi ragiona per la loro sconcertante ovvietà, tipo “lavoreremo per il bene del Paese”, o per la siderale distanza fra l’utopia e la realtà, come “abbiamo abolito la povertà” (cavolo, non potevamo pensarci prima?).

Certo, ne patiranno gli autori della satira, privati della materia prima su cui costruire i loro sketch, anche nella versione più moderna del meme. Neri Marcorè, di solito bravissimo, ci ha provato a farne la caricatura, ma non è andato oltre uno sciapo gioco di parole immaginando una partita di Monopoli fra Mario, Angela (Merkel) e Christine (Lagarde).

Il Presidente (di che cosa? Di tutto!) va dal Presidente (della Repubblica) in uno dei momenti più difficili della storia repubblicana e, quando esce, rilascia una dichiarazione sorprendente alle telecamere che rinviano l’immagine all’intero Paese ansioso: “Ringrazio per la fiducia accordata e mi riservo di accettare”. Caspita, si sente che non c’è Casalino dietro questo ermetismo ungarettiano.

Quattro giorni di consultazioni, e tutto quello che sappiamo è ciò che riportano i suoi loquaci interlocutori. I quali si incaricano di farci sapere che comunque vada sono pronti al volere del Presidente (di tutto). Ma quale sia questo volere… non si sa.

Finalmente accetta l’incarico e ci comunica l’elenco dei ministri, con una prosa che, ancora una volta, definire essenziale è riduttivo. Elenco fino a quel momento avvolto dal più oscuro dei misteri. Pare che neanche gli interessati fossero informati, tant’è che il superbo neo ministro dell’Istruzione ha confessato di averlo “imparato” poco prima di noi.

Presidente, e il programma? Non si sa. Beh, giusto, prima lo si comunica al Parlamento. Ecco il giorno della presentazione alle Camere: illustrazione del programma (finalmente), replica agli onorevoli, ritorno a Palazzo Chigi a lavorare. Un commento? Una parola agli italiani a cui sei stato presentato come il drago capace di risolvere ogni problema, come il Mandrake dai superpoteri? Non l’abbiamo sentita.

Sono passate due settimane dal quel 14 febbraio in cui il Governo ha giurato. Un paio di ministri hanno provato a rilasciare un’intervista e sono stati subito richiamati. Il Presidente prende posizioni e assume decisioni importanti e affida la loro divulgazione agli atti normativi invece che alle slides e ai microfoni delle conferenze stampa serali o notturne.

Io, cittadino che cerca di essere informato sulla politica (sulle cose della sua polis) francamente sono disorientato perché non riesco, per mio difetto, sia chiaro, a cogliere l’indirizzo, il senso delle scelte, il preannuncio della direzione futura. Apprezzo la sobrietà dello stile e il rispetto delle procedure istituzionali, ma sono state scritte decenni fa, quando la comunicazione era ben diversa da oggi, come intensità, come strumenti, come immediatezza, come valenza nella vita sociale.

Anche io non sono un fan dei social e trovo spesso eccessivo il loro ruolo: non mi sta bene che Twitter sostituisca la Gazzetta Ufficiale. Ma credo che oggi non si possa non fare una giusta miscela fra canali istituzionali e canali diretti, fra comunicazione formale e immediata.

De Gasperi non poteva fare dirette Facebook per parlare agli italiani, Draghi potrebbe. Da cittadino, attento e rispettoso, devo dire che mi piacerebbe che il mio Presidente del Consiglio dei Ministri mi parlasse della sua missione. In fondo il potere appartiene (anche) a me, no?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *