SANREMO, LO SQUINTERNATO FESTIVAL DELL’IPOCRISIA ITALIANA

I monologhi. Sanremo, uno a sera, da martedì a sabato. Tutti pensano, tutti scrivono, tutti leggono, tutti applaudono. Espressione da repertorio, cala il silenzio, le luci anche, si percepisce la sofferenza, si intuisce il tormento, si ode il respiro.

Poi esce Elodie e sembra reduce da terrazza sentimento, un tocco raffinato tra Maurizia Paradiso e Wanda Nara, quindi tocca a Rosa Chemical che sembra un ambulante di ferramenta e fieramente mostra un sex toys, appare Fedez che vuole la bamba libera, dice che la Oxa è maleducata ma lui è lo stesso che ghignava sulla scomparsa della Orlandi, a seguire Mengoni addobbato da Village People, non vanno trascurati i Maneskin che mostrano i deretani e pensano di essere i Beatles però di Centocelle, non dimentico la sala stampa che è un centro sociale privilegiato, tralascio le giacche di Amadeus disegnate da un giostraio ubriaco, poi la Costituzione, poi le foibe, poi metoo, poi la guerra, poi il terremoto, poi il razzismo.

Totale: un grandioso Bignami di superficiale e ipocrita ignoranza, propaganda faziosa da gazebo improvvisato. Però il 67 per cento degli italiani che guardano una tv lo ha seguito. La stessa percentuale degli americani per il Superbowl. Che barbari. Però loro, almeno, senza monologhi.

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