SAN SIRO MARTIRE (DELLE BUROCRAZIE MILANESI)

“In questa delicata fase il Comune ha anche altro cui pensare”. Così, in una nota in cui ha persino chiarito di non voler più fare polemica sul tema del nuovo (?) stadio di Milano, il sindaco Giuseppe Sala restituisce al mittente l’ennesima sollecitazione di Milan e Inter su un argomento che si trascina da tre anni, dopo il progetto sostenuto da Barbara Berlusconi, ancor più datato. Mancava solo: “Non continuate a rompermi le scatole”, e il proposito di evitare “che ogni parola suoni come polemica” sarebbe stato certificato.

Non c’è niente da fare: il progetto di un nuovo stadio con annesso centro commerciale nella metropoli lombarda resta in soffitta, imballato nel cellophane. Dopo aver costretto i due club di calcio milanesi a concepirlo insieme, così da ottenere un primato inedito sul pianeta e del quale andare tutt’altro che fieri, è iniziata la girandola delle analisi sul progetto da parte di periti, esperti, geometri, architetti, opinionisti, qualche virologo immagino. Ora siamo alla proposta di un dibattito popolare, come un referendum, come un’ideuzza non male da sottoporre alla gente, tutt’altro che distratta – come invece il Comune – da problemi più grandi.

Il fatto è che lo stadio di proprietà, inutile ripeterlo, è una fonte di sopravvivenza per i rossonerazzurri (in mano com’è noto a famiglie straniere), potendo casomai preludere al ritorno ai fasti antichi. Lo aveva capito nel 1978 il povero Carlo Tognoli, scomparso un anno fa e però sindaco in un momento in cui Inter e Milan, nonostante stessero per vincere uno scudetto a testa, sarebbero entrate in un lungo tunnel di mediocrità. Tognoli aveva sposato e sostenuto l’idea, ma quella volta non fu necessario impantanarsi nelle paludi del consiglio comunale per far affogare il progetto.

Del resto il buon vecchio James Pallotta, italo-bostoniano presidente della Roma per 9 anni dal 2011 al 2020, nonostante 40 (quaranta) milioni spesi per i rendering e altrettanti per progetti di supporto (in totale 80, ottanta milioni!), dopo aver ammainato le bandiere De Rossi e Totti ha dovuto ammainare anche la sua, rientrando – si fa per dire – in Massachusetts senza veder posato nemmeno il primo mattone del nuovo stadio della Capitale. Non parliamo poi dei poveri fratelli Della Valle, alla gogna per il solo fatto di averci pensato, alla Cittadella dello sport e al nuovo stadio di Firenze.

Sarebbe interessante indagare come hanno fatto a Bergamo, Reggio Emilia, Udine e Frosinone a guadare gli stagni politici e (ri)costruirli, i loro stadi di proprietà, di cui tra l’altro uno per la serie B e uno per la C.

A Torino invece sarebbe fatica superflua: gli Agnelli ci hanno messo un amen.

Ora comunque Inter e Milan si sono stufate: o San Siro sarà la nuova culla dei club entro breve tempo – si fa sempre per dire, parliamo nel migliore dei casi di 5/6 anni – oppure andranno a Sesto San Giovanni, alle porte della città, a mendicare terreno e metri cubi per andarsi a fare il loro stadio di periferia. Dove il sindaco non è Sala e dove forse le lungaggini burocratiche sarebbero un filo più agili. Sarebbero. Forse.

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