SALVIAMO IL TEMA DI MATURITA’ DA QUESTI MATTI

di MARIO SCHIANI – Ho lasciato in via ufficiale la scuola quasi quarant’anni fa ma ancora oggi mi capita di tornarci: di notte. Prima che vi facciate idee sbagliate, intendo dire che, qualche volta, nei sogni mi ritrovo a scuola. E non sono mai bei momenti: niente intervalli, niente corteggiamenti con la ragazzina del primo banco e neppure gite o scioperi contro la repressione in Nicaragua. Macché: interrogazioni, specie in latino, ed esami. In particolare l’esame di maturità.

Trattandosi di sogni alimentati dall’ansia della vita moderna, quella che neanche i distillati al carciofo riescono a contenere, è inevitabile che la scenografia scolastica faccia da fondale a una situazione di imbarazzo e impreparazione. Di solito mi trovo improvvisamente chiamato alla cattedra per un’interrogazione quando, la sera prima, non ho studiato neanche un paragrafo. E non solo la sera prima: non ho studiato per quarant’anni. Capirete che le speranze di alzare la media del quadrimestre a quel punto sono remote. Per fortuna in queste angoscianti circostanze sempre mi viene in soccorso un pensiero: metterò le cose a posto con un bel tema.

E’ questo un pensiero che si insinua nel sonno ma è derivato dalla veglia. Tante volte, lungo la mia sconnessa carriera scolastica, mi sono affidato ai temi di italiano per rimediare alle lacune accumulate nelle altre materie. Alla maturità, offrii nel tema una prestazione paragonabile, per intensità, a quelle di Gattuso nel derby, tanto è vero che, all’orale, trovai una commissione molto ben disposta nei miei confronti e fu relativamente facile, a quel punto, uscirne con onore.

Scopro che oggi non mi sarebbe possibile. La maturità 2021, a causa delle circostanze eccezionali imposte dal Covid, non prevede il tema di italiano. Questo si può capire. Meno chiara la logica, affermata dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, secondo la quale l’emergenza di oggi diventerà probabilmente la consuetudine di domani e la maturità, abolita la prova scritta, si limiterà a quella orale.

Si pensa forse che una “traccia” in qualche modo resterà visto che, a cominciare da quest’anno, la prova orale si basa su un “elaborato” presentato dai candidati. Il termine “elaborato” è conforme alla tipica vaghezza dell’era multimediale. Esso infatti può essere un testo ma anche “altro”, ovvero, immaginiamo, presentazioni con l’ausilio PowerPoint, video, eccetera, non escluse le marionette e gli show in stile burlesque. Scherzi a parte, l’elaborato così concepito ingloba e anzi inghiotte il tema affondandolo in un progetto che, tra l’altro, potrà essere “interdisciplinare”, ovvero saltare da una materia all’altra purché il candidato sappia dimostrare sufficiente coerenza.

Come sempre, queste nuove formule, queste inedite opportunità didattiche, suonano sulla carta (anzi, nell’elaborato multimediale) come straordinarie possibilità creative: offrono tanti strumenti di espressione integrati e integrabili lasciando briglia sciolta alla fantasia e all’intuizione del ragazzi.

Epperò il sottoscritto, certo pieno di rancore per la sottrazione del suo amato tema, si pregia umilmente di far notare che, spesso, la creatività non è stimolata dalla libertà, ma dal suo opposto, la costrizione. Il fatto che Dante si sia imposto di scrivere la Commedia in terzine di endecasillabi a rime concatenate gli deve aver provocato più di un mal di testa, ma oggi a noi resta un capolavoro di forma e di contenuto. La presentazione del Canto terzo in PowerPoint avrebbe invece consegnato al Sommo un buon voto ma non l’immortalità.

Insomma, il tema, limitando lo studente all’impiego di un foglio protocollo, una penna e un dizionario, lo costringe a uno sforzo preciso: quello di raccontare se stesso tramite ciò che conosce, i termini che gli sono familiari, le metafore e le allegorie che la sua fantasia sa produrre, operando nell’intimo quella traduzione del reale in parole che, quando riesce, e non di rado riesce, è una scoperta meravigliosa, prima di tutto per chi scrive e poi per quanti leggono. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare: lo diceva Heidegger (e scusate se vi butto lì questa citazione aggratis). Questo spiega come mai non di rado possiamo dire di aver capito veramente i nostri pensieri solo quando li abbiamo scritti. Anzi: spesso possiamo dire di aver pensato solo quando abbiamo scritto, non prima.

Ecco perché rinunciare in via definitiva al tema di italiano, progetto che si iscrive in una più ampia tendenza culturale di dismissione della parola scritta, non mi pare un regalo fatto agli studenti di oggi, al contrario. Si offre loro una possibilità di espressione solo apparentemente più vasta: in realtà, privata dell’affinamento che si ottiene passando una vaga idea attraverso i limiti del linguaggio, l’intuizione più brillante rimane superficiale, diffusa in una forma non specificata e infine dispersa nell’illusione, oggi così frequente, che la tecnica debba per forza migliorare le cose, quando in realtà quasi sempre le rende più uniformi e anonime.

 

 

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