SALVARSI SUI SOCIAL SOCIALMENTE UTILI

di MARIO SCHIANI – Ho un paio di validissimi motivi per ringraziare Ario Gervasutti, ed entrambi nascono dalla lettura dell’articolo per @ltroPensiero intitolato “Alla larga dai social, tutta salute”.

Innanzitutto lo ringrazio per aver messo a nudo quel curioso eppur diffusissimo tipo di frequentatore dei social noto per il vezzo di aggiungere alle notizie un commento, sempre uguale, che lo distingue come una firma o, volendo, come la Z di Zorro sul pancione del sergente Garcia: “E chissenefrega”.

Come giustamente ha fatto notare Gervasutti, gliene frega talmente poco da aver letto l’articolo e da essersi preso la briga di commentarlo. Non è vero, dunque, che “se ne frega”: quel che vuole, quel che tenta, è di mortificare l’autore dell’articolo medesimo mostrandogli un disprezzo gratuito. Senza rendersi conto che tanta spocchia dà all’istante la misura della sua nullità.

Oltre ai “chissenefreghisti”, molto diffusi in Rete sono anche quei fenomeni i quali, burbanzosi e moraleggianti, vorrebbero reclamare maggior serietà da parte degli organi d’informazione. Di solito, vanno a pescare nei siti dei giornali e delle tv le storie più leggere, quelle che riguardano i cosiddetti vip, e le adornano di un commento illuminante: “Ma pubblicate notizie serie…”. Come se, intorno, non ci fosse un sito intero pieno di informazioni più che “serie”: dalle ultime sul Covid, alle tragedie stradali, dai dissesti economici alle guerre in mezzo mondo.

Ma “chissenefreghisti” e “seristi” vivono con il paraocchi: una limitazione di comodo, si intende, perché se dovessero allargare lo sguardo scoprirebbero un universo che non sono in grado di comprendere, figuriamoci di commentare.

Eppure questi fenomeni frequentano i social e anzi, come fa notare Gervasutti, sembrerebbero essere in stragrande maggioranza. Qui innesto un secondo ringraziamento, quello per avermi messo di fronte a una questione urgente: essendo io stesso un frequentatore dei social, Twitter e Facebook in particolare, sto davvero sprecando il mio tempo “nuotando nell’acqua sporca in cui torme di sconosciuti scaricano insulti putridi”?

Uno spunto di riflessione dal quale, grazie a Gervasutti, non posso (più) sottrarmi. Devo riconoscere che il ritratto dei social dipinto dall’articolo è somigliante: protetta dall’anonimato, la malignità esplode in mille modi perversi. L’istinto di tenersene alla larga è dunque salutare: una reazione della mente che, avvertendo la tossicità dell’ambiente, ci segnala come sia molto meglio andare a fare una passeggiata, oppure, se proprio vogliamo farci del male, assestarci una martellata sul pollice.

Gervasutti si chiede perché tanti colleghi giornalisti insistano nel pubblicare osservazioni e commenti sui social, ben sapendo di provocare non un dibattito ma un geyser escrementizio. Una ragione, forse, è che come categoria non sempre siamo immuni dal bisogno di attenzione; un’altra è che, piaccia o no, i social sono diventati un veicolo di informazione e abbandonarli ai deliri di “haters” e affini come si farebbe con una casa infestata, equivarrebbe ad abdicare a un nostro compito.

Personalmente, vorrei aggiungere che, lontano dalle notizie pubblicate a bella posta per creare vespai dai quali qualcuno trae profitto, esiste un lato dei social più placido e piacevole, oserei dire perfino utile. Che non è quello dei gattini e delle foto dalle vacanze, delle torte e degli aforismi di Alda Merini. Si tratta invece di un territorio nel quale gente che ha interessi comuni ha occasione di incontrarsi senza che le distanze e, spesso, la lingua, pongano degli ostacoli.

Da modestissimo acquarellista, per esempio, solo sui social ho potuto scoprire l’esistenza di un network mondiale di “sketchers” (Urban Sketchers) che si scambiano informazioni e consigli e, di tanto in tanto, organizzano (o meglio organizzavano: il tutto è sospeso per via del virus) raduni di imbrattatori dilettanti dai quali molti tornano cosparsi di colori ma felici.

Si dirà: è questo un dettaglio (sento già il “chissenefrega” che incombe), e certamente altro non è. Dettaglio su dettaglio, però, con un po’ di passione e un po’ di cooperazione si costruisce quella che chiamiamo civiltà. Si può fare anche senza social, per carità: ma se essi vengono in aiuto, perché buttarli con l’acqua sporca di cui sopra?

Il fatto che i social siano diventati sinonimo di fogna infrequentabile (per distinguerli dalle fogne più rispettabili) è davvero un peccato, perché il potenziale di questi strumenti rimane altissimo. L’idea di lasciarli andare alla deriva, ben sapendo che c’è qualcuno prontissimo a sfruttarli per manipolare e depistare, è un poco deprimente: un “chissenefrega” che, ancora, non mi sento di annunciare.

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