SALVARE EITAN DA NOI ADULTI

Non è certo il primo caso, non sarà l’ultimo, un bambino al centro del più squallido tiro alla fune. In questo caso ancora più squallido, perché non è questione di separazione, di divorzio, il piccolo Eitan è l’insondabile e afasico superstite di una tragedia infinita.

La tragedia del Mottarone lo risparmia, ma perde i genitori e con loro perde la propria voce e il proprio posto nel mondo. Perde, con i genitori, gli angeli che avrebbero vegliato su di lui e per lui.

A nessuno, nemmeno all’istintivo nonno, per usare la formula dell’avvocato difensore dell’avo, viene in mente che il cuore di tutta la faccenda dovrebbe essere il piccolo Eitan, che il piccolo Eitan dovrebbe essere lasciato dov’è, nemmeno spostato di un millimetro, e tutti quanti, diciamo le parti in causa, dovrebbero sedersi intorno a un tavolo, con una bella tazza di passiflora davanti, e insieme congetturare sul bene e sul bene solamente del piccolo Eitan medesimo.

Invece no, la parola d’ordine, come in mille altri casi, è possesso. Come se il piccolo Eitan fosse mio, tuo, vostro, loro. Il piccolo Eitan appartiene a sé stesso, appartiene semmai al mondo, alla vita e all’avvenire che lo attende, con la speranza che i fantasmi dal passato possano essere clementi con lui.

Persino i giornali e i telegiornali sono freddi e spietati, si parla per lo più di caso giudiziario, di caso diplomatico, come se appena al fuori del pianeta Eitan, Eitan il bambino, Eitan la persona, ci possa essere davvero un caso che valga la pena analizzare e non semplicemente biasimare.

Ho l’impressione che la cosmogonia dell’essere umano abbia ancora bisogno di qualche osservatore, ho l’impressione che ancora tra corpo, anima e pensiero vi siano spazi inesplorati.

Infiniti.

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