Negli anni ’60 la spinta era motivata più dalla competizione muscolosa tra americani e russi per conquistare la supremazia tecnologica di grande valore simbolico e di prestigio. In tanti ricordiamo il famoso discorso di Kennedy del 1962, in cui annunciò la sbarco sulla luna di un uomo e il suo ritorno in sicurezza, entro la fine del decennio. E’ ancora insegnato nelle scuole di management come espressione della migliore “vision” di sempre: grandi ambizioni, valori alti e obiettivi concreti. Eppure, gli americani sono riusciti a spuntarla sui russi “solo” per lo sbarco sulla luna, perché prima e dopo le hanno prese di santa ragione dagli acerrimi rivali.
Pre-luna, i cosmonauti (URSS) in grande vantaggio rispetto agli astronauti (USA): primo satellite nello spazio (Sputnik 1, 1957), primo uomo nello spazio (Gagarin, 1961), prima donna nello spazio (Tereshkova, 1963), prima passeggiata nello spazio (Leonov, 1965).
Luna, gli astronauti Usa recuperano e sbarcano per primi sulla luna (Armstrong, 1969) e fino al 1972 dominano la competizione, con 6 missioni e un totale di 12 uomini andati e tornati sani e salvi dal nostro satellite, dopo averlo esplorato in largo e in lungo.
Post-luna, si allenta la guerra fredda e iniziano le cooperazioni tra i due litiganti e si inseriscono anche gli europei, con il cecoslovacco Remek nel 1978, il primo. Gli americani lanciano l’innovativo programma con lo Shuttle nel 1981, che durerà fino al 2011. Purtroppo, non va sempre così bene. Nel 1986 il Challenger esplode dopo settantatrè secondi dal decollo, muoiono i sette componenti dell’equipaggio. Nel 2003 si ripete la tragedia con il Columbia, che si disintegra nel rientro sopra il Texas, ancora sette morti. Da lì in poi un declino inarrestabile, fino al suo pensionamento definitivo dopo otto anni. Nel frattempo si costruisce la stazione spaziale (ISS), funzionante dal 1998.
Per raggiungerla, però, gli astronauti a stelle a strisce non hanno più la loro navicella e, allora, si devono per forza affidare alla vecchia Sojuz, che parte regolarmente da Bajkonur, Kazakistan. Per capirci, una specie di Multipla riammodernata ad ogni missione: essenziale, spartana ma molto affidabile. E’ da ben nove anni che là c’è la fila di chiunque voglia andare nello spazio. La rivincita della ex Unione Sovietica è schiacciante.
Ma fino al 27 maggio 2020, data che ci dovremo segnare. Una società privata americana, guidata da quel pazzo ispirato di Elon Musk – la SpaceX – annuncia il primo volo con la nuova navicella Crew Dragon, due piloti a bordo. La Nasa gestirà ancora programmi, ma ha affidato sviluppo e realizzazione di tutte le componenti alle industrie private. Vedendo il video degli interni, mi ha ricordato subito la Tesla con tutti i suoi comfort, il giocattolino elettrico del proprietario. Il lancio sarà da Cape Canaveral, nessun luogo più iconico e carico di storia di quello. Ci immaginiamo sarà uno show, un’americanata diremmo noi.
Questo progetto, considerato impossibile per molti, anche da super esperti del settore, rimetterà in carreggiata gli Stati Uniti e li renderà ancora protagonisti delle future esplorazioni, alla ricerca di nuovi spazi per la continuità della nostra specie. Ci sono mancati, e parecchio.
Questa volta non conta chi arriva primo, conta arrivarci tutti insieme. Ci sono tanti progetti interessanti, ma ci vuole una strategia globale e una leadership chiara che spinga le comunità scientifiche e politiche nella stessa direzione. Ci vorrebbe ancora una visione alla Kennedy.
Se il sole muore. Non solo: se la terra muore, se la terra non ci basta più.