Protagonisti: i tifosi dell’Atalanta che insultano Vlahovic, il giocatore della Juventus che segna, reagisce e viene ammonito per questo, infine l’allenatore nerazzurro che sfrigola i polpastrelli sui vetri in sala stampa: “Nell’Atalanta giocano Pasalic e Djimsiti, ha giocato Ilicic e a volte gli insulti sono rivolti al singolo, magari per altre cose. Il razzismo è una cosa molto seria, va contrastata e non c’è alcun dubbio. Ma non va confuso, perché altrimenti riguarderebbe anche i nostri giocatori“, dice il Gasp con un panegirico di un paio di minuti che riassumiamo in queste poche righe.
Il distinguo insomma riguarda chi e perché. Se il tal giocatore se li è meritati (non si capisce bene per quale motivo), bene: che si prenda gli insulti tipo “zingaro”, comunemente rivolto agli slavi. Ma il razzismo, dice Gasperini, “è un’altra cosa, è una cosa molto seria”.
Finalmente uno che dice la verità, sia pure camuffata in un palpabile disagio verbale: il tuo è più razzismo del mio. È sempre e solo questa la chiave: l’orticello. Va bene indignarsi, insomma, però dobbiamo distinguere. Tra slavo e slavo, tra negro e negro, tra terrone e terrone: se gioca con la maglia della mia squadra, è un po’ meno slavo, negro e terrone del tuo. Che poi a ben vedere, dice don Gasp, slavo, terrone e negro sono solo insulti, non è razzismo. Il razzismo non alberga negli stadi, tantomeno in quello multirazziale di Bergamo. E poi è tutt’altra cosa rispetto agli insulti, è una cosa molto seria “che va combattuta”. Mah.