RAFFA, LA VERA ICONA POP DEL ‘900

di TONY DAMASCELLI – Non era previsto nemmeno nelle sue “Carramba che sorpresa”. Anche Raffaella ha abbandonato la scena di questo mondo, scegliendo il silenzio della malattia, dopo aver regalato fette di vita gioiosa, di sensualità mai volgare, il suo ombelico trasferito al centro delle tavole degli italiani all’ora di cena di ogni sabato sera. Raffa era l’ospite gradita e desiderata, con il casco di mille capelli dorati gettati all’indietro nel gesto divenuto iconico, come lei stessa era icona, e il suo sorriso largo, direi emiliano di terra, da bolognese vera.

Veniva da una famiglia di vita aspra, i suoi si divisero quando, era finita la guerra, la separazione portava allo scandalo soprattutto perché la madre sua, Angela Iris, veniva dalla Sicilia, l’isola dell’onore. Per questo Raffaella Roberta Pelloni venne trasferita dalla nonna Andreina che aveva una gelateria a Bellaria. Ai tempi già ballava e provava anche a cantare pur con voce fessa, si ritrovò a Roma all’accademia di danza e a Cinecittà la vollero, aveva soltanto anni otto, per interpretare il ruolo di Graziella, figlia dimenticata di un mariuolo, insieme con Riccardo Garrone, Luigi Pavese e Carla del Poggio.

Incantata dal cinema e dai cinematografi, sognò di fare l’attrice, crescendo, in bellezza e anni, provò anche le scene di Hollywood, dove si narrò di una tresca da lei non ricambiata con Frank Sinatra che la riempiva di gioielli. Lei fece la stranger in the night e se ne tornò in Patria carica di monili, si diede al ballo, alla recitazione, alla musica. Il resto è epopea, icona massima per gli uomini ma anche icona gay, perché era una, nessuna e centomila, femmina e diva anche all’insaputa di se stessa, perché mai ha cercato o tentato di esserlo nel significato peggiore che il mondo dello spettacolo scrive e appiccica addosso ai suoi inquilini.

Raffaella scelse il cognome di Carrà per suggerimento di Guardamagna, regista teatrale che sentiva pesante quel Pelloni, tipico dell’onomastica emiliano-romagnola. Raffaella è stata la televisione, tutta, pubblica e privata, Rai e Mediaset e pure quella straniera, spagnola, una leggenda pure tra le nacchere e gli olé, sempre identica a se stessa, mai sconcia di abito e di linguaggio, ma ugualmente pronta a stuzzicare sogni erotici e a rendersi bersaglio, fisico, dei tuca tuca giullareschi di Benigni, dopo quelli emblematici con Alberto Sordi.

I suoi quiz sul numero dei fagioli, le sue carammbate, i suoi “Fiesta” e “Rumore” sono arrivati al massimo della celebrazione con “Far l’amore”, apertura de La “Grande Bellezza” di Sorrentino, musica rivista e lanciatissima da Bob Sinclair. Fu l’Oscar per il regista e al tempo stesso per i nostri sogni postadolescenziali, tenuti a riposo per l’invasione di altre figure.

Infine Raffaella Carrà aveva scelto le mezze luci, intuendo le nuvole del male. Improvvisamente ha riempito un giorno qualunque, come un fulmine nel cielo limpido. Un’altra fetta di memoria e di vita che ci lascia sorpresi e smarriti.

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