RACCOLTO SUPER, CHI LO RACCOGLIE?

di PAOLO CARUSO (agronomo) – La materia prima non manca, anzi. Durante questa pandemia la natura si è come risvegliata in molte delle sue forme: fauna e flora hanno come ripreso a respirare. Grazie anche al clima, l’agricoltura italiana sarebbe attesa da un raccolto particolarmente ricco. Sarebbe, perché adesso serve chi raccolga…

Le previsioni delle associazioni di categoria sottolineano come attualmente il primo problema del settore agricolo riguardi il reperimento di manodopera, stimando in 270/350mila il fabbisogno di lavoratori e lavoratrici per le prossime campagne di raccolta.

Il Covid 19, a causa delle restrizioni alla circolazione delle persone e del blocco delle frontiere, ha ridotto drasticamente la disponibilità di forza lavoro utilizzata per raccogliere e seminare ortaggi e frutta di stagione, di conseguenza a breve i reparti di ortofrutta potrebbero restare desolatamente vuoti, con un’impennata dei prezzi insopportabile: per i produttori e per i consumatori. A questa situazione bisogna sommare le difficoltà legate alle importazioni, dovute alle molte restrizioni sul tema.

Gli agricoltori provano comunque a non fermarsi: alcuni sono in piena fienagione, altri in prossimità della raccolta del grano, mentre c’è chi sta ancora sistemando i vitigni appena impiantati, chi irriga agrumeti, chi cerca di far bastare i pascoli primaverili ad interi armenti di mucche, pecore, capre…

Tutto questo impegno rischia di essere vanificato dalla carenza di “braccia”. La pandemia ha messo con le spalle al muro (tra le molte altre) una realtà che si affidava da molto tempo a lavoratori stranieri, sovente in una posizione irregolare e sfruttati da condizioni contrattuali miserabili, quando non semplicemente “verbali”…

Bisogna dirlo: oggi il timore di controlli più serrati lungo le strade impedisce a questi lavoratori di recarsi nei campi. Il “Corriere della Sera” dell’11 maggio scriveva di 20.000 italiani che si sono registrati sulle banche dati delle principali organizzazioni agricole, le quali – per fronteggiare la carenza di manodopera – hanno creato piattaforme su cui incrociare l’offerta di lavoro delle aziende e la domanda degli aspiranti operai agricoli. Nonostante questo, mancano e mancheranno all’appello (come detto all’inizio) quasi 300.000 lavoratori.

E’ la naturale conseguenza di scelte politiche e culturali che hanno colpevolmente marginalizzato il settore agricolo e i suoi protagonisti, rendendolo accessorio, quasi marginale nel contesto produttivo nazionale.

Insomma, la nostra agricoltura non è in ginocchio né per colpa del Coronavirus, né per altre calamità naturali: il prodotto è lì, in grande quantità e di ottima qualità. Bisogna raccoglierlo, però. Era una situazione già grave ben prima della pandemia e che oggi è diventata drammatica, senza apparente via di uscita. I nostri Istituti tecnici e le nostre Facoltà di Agraria si sono svuotate da tempo: l’agricoltura, che pure garantirebbe livelli occupazionali molto elevati, è faticosa. Molto faticosa.

E’ una speranza, un augurio, ma non una chimera: quei ventimila che si sono arresi alla disoccupazione e si sono offerti ai campi, potrebbero indurre molti altri a farlo. Ma bisogna fare presto, perché la stagione è alle porte e sono le uniche rimaste aperte in questi mesi.

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