“QUI RIDO IO”, SPERANDO CHE IMPARINO TUTTI

Non succede mai di domandarsi chi e quante persone leggeranno quello che scrivi, sia un libro o un articolo. Cerchi di farlo al meglio rendendolo godibile centrando il messaggio, non vi è altra strada. Stavolta mi è accaduto: ho visto un capolavoro, mi sono messo al pc e prima di buttar giù le prime parole, mi sono fatto molte domande.

La prima: chi ricorda la famiglia De Filippo? Quanti hanno ancora negli occhi le espressioni di Eduardo, Titina e Peppino, i loro testi pungenti, le loro battute irresistibili? Quel teatro. Chi ha nel cuore quel teatro? La mia infanzia natalizia è legata al televisore in bianco e nero che il 25 dicembre si accendeva per “Natale in casa Cupiello”, poi per anni i miei genitori, le mie sorelle, per svegliarmi la mattinata si avvicinavano al letto  e sussurravano: “Lucariè, scétate, song’ennove”, Lucariello svegliati sono le nove, la battuta iniziale di quella straordinaria commedia scritta da Eduardo nel 1931 e considerata il capolavoro della compagnia.
Di Eduardo la biografia recita essere stato uno dei più importanti autori teatrali del Novecento e uno dei più famosi drammaturghi del mondo, ma fu proprio lui – da bambino, quando già si avvicinava alla scrittura e al palcoscenico – a sancire che i fratelli De Filippo avrebbero sempre lavorato insieme. Ora che ho risposto a quella prima domanda, mi piace scrivere di aver visto proprio in questi ultimi giorni dell’anno, uno dei film più belli del 2021: “Qui rido io”, dove un superbo Toni Servillo interpreta quell’Eduardo Scarpetta che soppiantò Pulcinella quale maschera napoletana della comicità, all’inizio del secolo scorso, con il personaggio di Felice Sciosciammocca. Nei suoi successi eclatanti, Scarpetta divise la sua vita di artista tra il teatro e le numerose famiglie legittime e illegittime, essendo stato amante di numerose donne dalle quali aveva avuto svariati figli – tra i quali Eduardo, Titina e Peppino – nella tacita accettazione di tutti che vivevano nutrendosi della sua opulenza.
Sempre chiarendo bene che non sono un critico, ma un appassionato spettatore, ho trovato eccezionali recitazione, regia, costumi e musiche dell’epoca, immersi nell’atmosfera della Napoli della Belle Epoque in cui qualsiasi rappresentazione politica e sociale era inevitabilmente intrisa di comicità e ironia, nella migliore tradizione di quella terra. Parallelamente ai suoi equilibrismi privati e al suo intenso lavoro quotidiano, il perno centrale del film è la disputa con Gabriele D’Annunzio che nacque dalla parodia della “Figlia di Iorio”, trasposizione umoristica dell’opera del poeta abruzzese, uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo, che Scarpetta mandò in scena dopo una verbale quanto ambigua autorizzazione, salvo poi trascinarlo in una causa lunga e controversa.
Le radici della nostra cultura, della nostra società, della nostra arte con spruzzate dissacranti di politica e di costume (dell’epoca, ma così moderne…) appaiono magistralmente riassunte in film come questi realizzati con cura, con dovizia, con attenzione. Dinamiche probabilmente difficili da comprendere nel 2021 e in generale per le ultime generazioni, ma la forza sta nella straordinaria attualità dei dialoghi e la ricchezza di metafore, aforismi veri e spontanei di cui sovente oggi troviamo tracce a vanvera in rete.
Non so, francamente non riesco a pesare, quale appeal possa suscitare questa pellicola sui giovani: credo che la chiave di lettura stia nella curiosità nel levigare oggi pietre miliari del nostro teatro, del genio del nostro Paese dove il genio, questa sarà la scoperta, è esistito. E ancora esiste. Conoscerne la vita non può che essere illuminante e costruttivo.

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