QUI ITALIA, DOVE IL GREENPASS E’ UNA COLPA

di MARCO CIMMINO – C’è un mio amico che se ne frega delle regole, sistematicamente: la disobbedienza civile, per lui, è un fattore genetico, non una convinzione. Simula prenotazioni al ristorante, parcheggia negli spazi dei residenti, bidona, ritarda: insomma, è un anarchico senza anarchia. Diciamo meglio: è un monumentale egoista, egotista, egotico. Gli vogliamo bene lo stesso, perché è brillante, divertente, funambolico con delle punte di autentica genialità: però è un gabbamondo.

Il fatto è che, probabilmente, in un remoto cantone svizzero, chessò, Glarona o Appenzello, avrebbe vita difficile: in un mondo in cui perfino i cittadini sono tutori dell’ordine, uno così è bell’e spacciato. In Italia, invece, la fa sempre franca, non la paga mai, insomma, ha ragione lui.

Questo breve frammento di vita vissuta mi serve per introdurvi all’ennesima fregatura ordita ai danni di chi, a differenza del mio amico, le regole le rispetta sempre, nella convinzione che un bravo cittadino debba pensare innanzitutto alla collettività, e rispettarne le leggi, anche quando gli sembrano un po’ balzane. Uno come me, dunque, che si fa le code di buon grado, che paga le tasse e che, se lo Stato glielo chiede, si vaccina e si greenapassa, senza fare troppa filosofia. Il che, a un dipresso, equivale a essere un idiota o, perlomeno, a farne la figura.

Dimostrazione palese di quanto poco convenga questa Weltanschauung è certamente la faccenda dei posti al ristorante. Come sapete, solo chi possieda un passaporto sanitario può entrare e accomodarsi all’interno dei locali: regoletta aurea, in chiave antivirale. Se voglio sedermi bello comodo e al calduccio, devo avere il mio QR code, che testimoni della mia coscienza civile.

Peccato, però, che, in agosto, di sedersi al calduccio non passi per la testa a nessuno: prima di questa sardagna maledetta, nelle prenotazioni, per solito, si chiedeva esplicitamente un tavolo all’aperto, raccomandandosi appo il ristoratore, che, ossequioso, se poteva ti accontentava. Oggi, invece, l’astuto cantiniere, ti risponde desolato: fuori faccio accomodare i clienti senza greenpass, quelli col greenpass devono stare all’interno. ‘Devono’, non ‘possono’: tra i due predicati corre una differenza abissale: se vuoi mangiare fuori, non devi essere vaccinato e certificato, neppure se ci sono quaranta gradi all’ombra. Se lo sei, paghi pegno.

Mica scemo l’oste! Data la legge, la soluzione, all’italiana, è quella di piazzare all’esterno gli, diciamo così per dire in breve, inadempienti, mentre quelli che hanno adempiuto si devono beccare la calura o, nella migliore delle ipotesi, l’aria condizionata a palla, nelle penombre. M’immagino quanto ne goda il turista che pranza vista mare a Positano!

Quindi, come sempre, chi rispetta le regole è un fesso, al netto dell’antipatica furbizia degli esercenti. Questa pare essere la morale, in questa bella Italia del terzo millennio: Arlecchino gavazza e Brighella paga il conto. Fortuna che io passo le vacanze a Pinzolo!

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