QUEST’UOMO HA UN’IDEA FISSA: POTER LICENZIARE

di GHERARDO MAGRI- Nei giorni di consacrazione a larghissima maggioranza della leadership di SuperMario, si distinguono in modo netto alcune dichiarazioni che suonano magari “politically correct”, ma trasudano minacce con ultimatum neanche tanto velati.

E’ il caso del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che tra pochi mesi taglierà il traguardo del primo anno nel ruolo. Il pezzo finale della sua dichiarazione ufficiale, depositata sul sito, cita tra l’altro: “Rivolgiamo infine un appello al presidente del Consiglio Draghi: non vorremmo di nuovo, tra poche settimane, assistere a una nuova protrazione del blocco generale dei licenziamenti al fine di prendere ancora tempo… Ora è il momento di agire, per rendere davvero concreto l’impegno a non lasciare indietro nessuno”. In parole più dirette: il suo problema è poter ricominciare al più presto con tagli e licenziamenti.

Che Bonomi fosse un falco lo si sapeva già, fin dalla sua elezione, succedendo a Boccia, ritenuto troppo accomodante da una certa componente di Confindustria. Cremasco, classe ’66, proviene da una famiglia di professionisti e industriali, bocconiano doc, ben presto diventa lui stesso un imprenditore del settore biomedicale.

In Assolombarda, la più grande organizzazione territoriale di Confindustria, muove i suoi primi passi e fa la gavetta giusta: ricopre vari ruoli di crescente responsabilità, fino a diventarne presidente nel 2017, oltre ad assumere altri incarichi di prestigio in varie società. Sono gli anni in cui si mette in mostra, consolidando la sua immagine di rappresentante di quella vena fieramente lombarda e milanese. La sua reputazione è da “osso duro”, di uno che non le manda a dire, e raccoglie i frutti di questa semina tre anni dopo, al momento della sua elezione unanime al vertice del salotto dell’industria più importante in Italia. La nomina è preceduta da sue diverse affermazioni taglienti nei confronti dei governi, tra le quali “siamo delusi da quei governi che ci chiedono collaborazione da gennaio a settembre, ma poi da ottobre all’ultimo giorno di dicembre affannosamente scrivono leggi di bilancio … come se non ci fossimo mai visti né sentiti”.

La sua strategia è piuttosto chiara: fare la voce grossa prima (e non solo) degli incontri per andare a negoziare al meglio. Impeccabile modalità che porta a casa sempre qualche risultato, molto di moda decenni fa, nei periodi delle contrapposizioni e delle difese d’ufficio delle categorie rappresentate. Il gioco dei pesi specifici e il clima politico facevano la differenza.

Ma negli ultimi anni non possiamo dimenticarci delle sportellate prese dalla blasonata Confindustria: lo storico abbandono di FCA nel 2012 ad opera del divino Marchionne, che formalmente lascia perché “il quadro è troppo incerto e lontano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato”, ma sotto sotto perchè rimprovera ai suoi rappresentanti di essere una macchina troppo burocratica e parecchio costosa. Idea condivisa da tante altre aziende, che silenziosamente sono dalla parte di Sergio. Uno strappo di cui si vede chiaro ancora oggi il rattoppo, che ha di fatto generato un serrato ripensamento interno, ai tempi della Marcegaglia. I due successori, Squinzi e Boccia, ci hanno provato, ma evidentemente non hanno convinto la base, che predilige posizioni più muscolari.

Il periodo tremendo del Coronavirus, lungo ormai un anno, ha generato una crisi economica senza precedenti, cui nessuno era preparato. Oltre a inseguire le priorità sanitarie, si è reso necessario mettere in sicurezza anche le parti socialmente più colpite ed esposte: la cosiddetta forza lavoro. Gli operai, gli impiegati, con le loro famiglie. Senza alcun giudizio di merito, il periodo di protezione – con il famoso blocco dei licenziamenti – è stato ispirato dai valori solidi che appartengono alla nostra cultura e alla nostra storia, quelli della solidarietà e dell’unità. Unità casualmente è anche la parola chiave di SuperMario, che ha messo insieme la prima grande coalizione italiana per provare a uscire dalle secche.

Da qui una serie di domande che sorgono spontanee. Presidente Bonomi, nessuno si sognerebbe di discutere le difficoltà degli industriali: ma è proprio il caso di accendere la miccia sullo sblocco dei licenziamenti come un argomento chiave della sua prima dichiarazione rivolta a Draghi? E’ opportuno spingere a fondo per pretendere diritti e mani libere, alimentando subito tensioni? Il suprematismo di categoria è la tattica giusta, conta solo quello? E’ davvero così saggio dire che se continua il blocco dei licenziamenti gli industriali non potranno ristrutturare e investire, parole al vago sentore del ricatto sociale? Soprattutto: ha provato a pensare cosa subiscano in termini di angoscia tante famiglie italiane, davanti a questa sua ossessione di poter finalmente cacciare un po’ di lavoratori?

I leader (quelli veri) sanno alzare la testa, cogliere il momento e guardare gli interessi globali in gioco, non solo quelli del proprio cortile, magari facendo un piccolo passo indietro per farne fare due in avanti, puntando un obiettivo più alto. Qualcuno lo può chiamare senso di responsabilità, semplicemente. Qualcuno può spingersi a definirlo umanesimo di stampo vitruviano. Presidente Bonomi, dice niente questa parola?

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