Guardatevi bene le immagini in diretta di una partita in tv, una qualsiasi: sguardi, sudore, sputi, coatti sbracati, vip del condominio, bambini che ridono, piangono o alzano quegli odiosi cartelli con cui chiedono la maglia al loro idolo. La gara è un contorno. Indugiano sulla smorfia disperata di uno che urla senza che nemmeno lo abbiano sfiorato, nel frattempo c’è una mischia in area. Vanno a inquadrare due belle bionde che si fanno un selfie e intanto se le danno a centrocampo. Ci regalano una coreografia della Curva mentre uno fugge da solo verso il portiere avversario.
La triste scoperta è che la sindrome da Sergio Leone è venuta anche ai registi del tennis, non solo quelli americani, anche se il recente ATP di Cincinnati vinto da Sinner è stato un intenso campionario di insulti al telespettatore: durante uno scambio inquadrature dal basso, vedevi solo le scarpe, le gambe di uno e la rete; droni dall’alto in piena bagarre; al momento della battuta, primo piano di chi riceve, il braccio che si alza, le tette di una con gli occhiali neri, il cielo, la panoramica del centro sportivo, la pallina che arriva dall’altra parte e mentre sta per essere ribattuta, il sorrisino dell’arbitro, il raccattapalle obeso, una coppia che fa le fusa…
A parte la sindrome del cronista nel romanzare per rendere meglio l’idea, davvero uno spettacolo insopportabile condito da rallenty, sguardi, primi piani intensi, dettagli insulsi. “C’era una volta in America” la regia sportiva, ma da loro si può capire, conoscendoli…: basket, football, baseball, hockey sono happening in cui – durante le gare che durano 3/4 ore – la gente va a mangiare, bere, fumare, fa dichiarazioni d’amore, richieste di matrimonio, arriva tardi, se ne va prima.
Da noi, però, se sbagli un gol o un tackle c’è la gogna e se tu mi fai perdere gli attimi fuggenti, sul patibolo dovresti finirci tu.
Sono completamente d’accordo 👍