QUELLO CHE SE NE VA PERCHE’ IL PUBBLICO NON BALLA

Forte questo Rhove, al secolo Samuel Rovenda, multiforme cantante che la sua casa discografica (Universal) definisce “un giovane rapper che ha dato inizio a una nuova wave in cui il rap è frutto di passione, fatica e messaggi positivi”.

Ogni epoca ha la sua wave (onda, per gli intolleranti) e ognuno la segue come crede, da che mondo e mondo. Il ragazzino è giovane, 21 primavere, ma già sta sul palco come un navigato direttore d’orchestra, al timone affronta il fondale, attraversa il golfo mistico e se potesse governerebbe pure la platea e persino il botteghino.

Non stupisce che sia appassionato di surf, tra le altre cose, ama il brivido. Solo che in uno dei suoi ultimi concerti, verso la fine, si è un po’ seccato, la gente non balla, almeno una parte, e allora lui che fa? Se ne va, risentito, non porta a termine l’esibizione e nemmeno risparmia il rimbrotto agli astanti neghittosi: “Mi sono fermato perché un quarto di voi era fermo a fine concerto e non esiste che all’ultima canzone stiate fermi. Non esiste ragazzi! Il concerto è finito adesso e non avete ancora saltato un ca**o! È un problema. Quindi bella per chi ha saltato, per il resto mi dispiace ragazzi, divertitevi un po’ di più, ciao”.

Ecco, bella lì. La reazione non si è fatta attendere e il pubblico devoto, ma non fesso, ha intonato il più classico dei refrain che la platea possa offrire, una volta punzecchiata e oltraggiata, cinque lettere inequivocabili, con una storia che ha le sue radici nel tenue turpiloquio ma ancora di più nel verismo più popolare: insomma, “scemo” ripetuto senza sosta, e chi può dire non se la sia cercata?

Il pivello vuol fare l’artista, decidere il repertorio, lo stile, l’arrangiamento (pilotato dai discografici in realtà, come accade dalla notte dei tempi) e vuol fare anche il pubblico, decidere cosa devo fare se scelgo di assistere a un suo concerto.

E allora appare normale, non serve la frequenza dell’omonima università per capirlo, che uno alla fine scelga invece di dargli dello scemo, sperando che lo induca ad abbassare la cresta e a cercare sul dizionario le parole umiltà e rispetto, due messaggi molto positivi gli vorrei ricordare, considerato che lui e suoi manager tengono molto alla missione.

Rhove fa una musica che detesto, ma credo che sia un bravo tipo in fondo e credo che farà tesoro della lezione, pensare che razza di immotivato ottimismo mi induce, tanto più che anche alcuni colleghi in vista non gli hanno risparmiato paternali, vedi i Pinguini Tattici Nucleari: “Siamo ritornati finalmente alla musica dal vivo e ci è capitato in questi giorni di vedere video aberranti di cantanti che sul palco insultano il proprio pubblico perché non canta o non salta. Mo’ chi glielo spiega che farli cantare e saltare è compito loro? È come se un cuoco insultasse i clienti perché lasciano avanzi nel piatto o non mangiano”, e poi ancora, “quando si parla di gavetta si parla anche di questo: le serate con davanti 50 persone disinteressate che ti devi conquistare da solo ti insegnano prima di tutto il rispetto. E poi il mestiere. Fare i concerti e fare le hit son due cose diverse. E questi mesi strani ce lo dimostrano ampiamente”.

Bella botta, se uno ha orecchie per intendere e non si limita a mercanteggiare a cresta alta.

Può essere che i discografici stessi lo abbiano richiamato a modi più urbani, anche se quelli son brutte bestie, alla fin fine è tutta pubblicità, basta che se ne parli.

Comunque, bei tempi quando andavi a sentire uno dei tuoi gruppi preferiti, quelli salivano sul palco, non dicevano una parola, nemmeno salutavano, e una volta terminato se ne andavano come erano venuti.

Bei tempi, bei tempi davvero, non scherzo.

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