Ogni epoca ha la sua wave (onda, per gli intolleranti) e ognuno la segue come crede, da che mondo e mondo. Il ragazzino è giovane, 21 primavere, ma già sta sul palco come un navigato direttore d’orchestra, al timone affronta il fondale, attraversa il golfo mistico e se potesse governerebbe pure la platea e persino il botteghino.
Non stupisce che sia appassionato di surf, tra le altre cose, ama il brivido. Solo che in uno dei suoi ultimi concerti, verso la fine, si è un po’ seccato, la gente non balla, almeno una parte, e allora lui che fa? Se ne va, risentito, non porta a termine l’esibizione e nemmeno risparmia il rimbrotto agli astanti neghittosi: “Mi sono fermato perché un quarto di voi era fermo a fine concerto e non esiste che all’ultima canzone stiate fermi. Non esiste ragazzi! Il concerto è finito adesso e non avete ancora saltato un ca**o! È un problema. Quindi bella per chi ha saltato, per il resto mi dispiace ragazzi, divertitevi un po’ di più, ciao”.
Ecco, bella lì. La reazione non si è fatta attendere e il pubblico devoto, ma non fesso, ha intonato il più classico dei refrain che la platea possa offrire, una volta punzecchiata e oltraggiata, cinque lettere inequivocabili, con una storia che ha le sue radici nel tenue turpiloquio ma ancora di più nel verismo più popolare: insomma, “scemo” ripetuto senza sosta, e chi può dire non se la sia cercata?
Il pivello vuol fare l’artista, decidere il repertorio, lo stile, l’arrangiamento (pilotato dai discografici in realtà, come accade dalla notte dei tempi) e vuol fare anche il pubblico, decidere cosa devo fare se scelgo di assistere a un suo concerto.
E allora appare normale, non serve la frequenza dell’omonima università per capirlo, che uno alla fine scelga invece di dargli dello scemo, sperando che lo induca ad abbassare la cresta e a cercare sul dizionario le parole umiltà e rispetto, due messaggi molto positivi gli vorrei ricordare, considerato che lui e suoi manager tengono molto alla missione.
Rhove fa una musica che detesto, ma credo che sia un bravo tipo in fondo e credo che farà tesoro della lezione, pensare che razza di immotivato ottimismo mi induce, tanto più che anche alcuni colleghi in vista non gli hanno risparmiato paternali, vedi i Pinguini Tattici Nucleari: “Siamo ritornati finalmente alla musica dal vivo e ci è capitato in questi giorni di vedere video aberranti di cantanti che sul palco insultano il proprio pubblico perché non canta o non salta. Mo’ chi glielo spiega che farli cantare e saltare è compito loro? È come se un cuoco insultasse i clienti perché lasciano avanzi nel piatto o non mangiano”, e poi ancora, “quando si parla di gavetta si parla anche di questo: le serate con davanti 50 persone disinteressate che ti devi conquistare da solo ti insegnano prima di tutto il rispetto. E poi il mestiere. Fare i concerti e fare le hit son due cose diverse. E questi mesi strani ce lo dimostrano ampiamente”.
Bella botta, se uno ha orecchie per intendere e non si limita a mercanteggiare a cresta alta.
Può essere che i discografici stessi lo abbiano richiamato a modi più urbani, anche se quelli son brutte bestie, alla fin fine è tutta pubblicità, basta che se ne parli.
Comunque, bei tempi quando andavi a sentire uno dei tuoi gruppi preferiti, quelli salivano sul palco, non dicevano una parola, nemmeno salutavano, e una volta terminato se ne andavano come erano venuti.
Bei tempi, bei tempi davvero, non scherzo.