I costi: sembra che siano stati spesi circa 5 miliardi, di cui 1.9 per i villaggi olimpici – pure quelli contestati, gli inglesi che se ne vanno in hotel è uno smacco da guerra dei cent’anni -, più 1.4 miliardi per il tentativo velleitario e fallito di bonificare la Senna, e altri miliardi non ancora comunicati per la sicurezza (Tokyo ne aveva spesi 2, tanto per avere un’idea). Potrebbero essere quindi un totale di 8 miliardi circa. Le pierre francesi si affrettano a far sapere che i ricavi potrebbero essere addirittura 12 miliardi, et voilà, così il guadagno è assicurato.
Intanto, bisognerà aspettare e verificare bene prima di pavoneggiarsi. Il punto principale è che non stiamo parlando di un’azienda o di una start up, dove la logica del profitto comanda tutto. Qui si parla di sport olimpico, dove la regola di base sarebbe quella di esaltare gli atleti, le gare, il sudore, la fatica, l’allenamento e la gioia delle medaglie. Dovremmo parlare solo di darci una regolata con i costi, dunque. Non fare la gara a chi guadagna di più, ma a chi spende meno. Mettere un tetto alle spese non sarebbe una decisione “sostenibile” e applaudita da tutta l’audience mondiale? Credo che certe megalomanie non ce le possiamo più permettere, oltretutto, visti i tempi magri che girano.
I discorsi ufficiali: non si possono più sentire. Una densa matassa mielosa di demagogia, di banalità e di ringraziamenti da diabete istantaneo. I vari presidenti riescono nel difficile esercizio di apparire peggio dei politici comuni: sono ancora più ingessati, leggono discorsi facili, noiosi, prevedibili e per niente convincenti. E che dire di Bach, il presidente CIO, quando si gongola di aver celebrato “i Giochi di una nuova era”, forse solo perché hanno aggiunto degli sport che piacciono ai giovani o perché si è raggiunta la parità di genere (fatto piuttosto casuale), o perché non aveva altro da dire, visto che tra poco lascia? Metterei un tetto massimo di cinque minuti a testa, o li abolirei del tutto.
Le Paralimpiadi e la vera inclusione: per gli atleti olimpici sono previste mega cerimonie di apertura e di chiusura (tra l’altro hanno scomodato Tom Cruise in versione Mission Impossibile, che scorrazza senza casco per Parigi, bell’esempio da emulare), per riaprire di lì a poco, il 28 agosto, le Paralimpiadi. Perché due organizzazioni? Non è discriminante? La gente capisce che si spendono un mucchio di soldi per gli atleti “standard” e poi per gli altri si vedrà. Non possono gareggiare insieme, invece? Non sarebbe un messaggio fortissimo fare un’unica e sola Olimpiade? Molto meglio delle sterili parole degli organizzatori che, obiettivamente, sembrano aver dato tutto (o quel poco che hanno) nella prima tranche. L’inquadratura misera e imbarazzante verso la fine di un piccolo palco con atleti paraolimpici la dice lunga sulla mancanza di volontà di lavorare per una vera inclusione. Era così facile: bastava invitare un atleta paralimpico a raggiungere i sei che rappresentavano i cinque continenti più i rifugiati. Un’occasione enorme persa davanti al mondo.
Insomma, una pomposità ostentata, irritante, fuori contesto e lontana dai contenuti, che fa male al vero spirito sportivo. Tra due anni tocca a noi con quelle invernali: cerchiamo di fare molto meglio con molto meno, abbiamo una magnifica opportunità per dare una svolta e cambiare sul serio. Magari.
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