QUELLO CHE (NON) SI CAPISCE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE HOT

Campagna elettorale hot (40 gradi, violenti temporali solo al Nord). Allora, ricapitolando: a meno di due mesi dalle elezioni, stanno messi più o meno così. Da destra a sinistra, nell’ordine.

Subito la Meloni, che sta su lato estremo, ma che dopo il 25 settembre ci ritroveremo – così dicono, così ci dice lei – nel centro preciso del potere e del Paese, perchè di fatto ha già vinto. Per il momento, ha stravinto con i due alleati, da parte loro abituati a comandare di brutto e ad avere tutti ai loro piedi, stavolta sostanzialmente messi velocemente a cuccia dalla capessa, che ha imposto metodi e numeri sulle liste elettorali, e cara grazia che li accetti in casa come due pechinesi, d’altra parte pure loro a qualcosa servono, se non altro a fare numero in sede di maggioranza. Niente e nessuno appaiono in grado al momento di fermare questa corsa a mani basse. A dirla tutta, i detrattori la stanno crivellando di foto del passato in cui lei appare negli ambienti e nelle riunioni più singolari, attorniata da gente suggestionata dalle nostalgie, con qualche bustino pelato e qualche stendardo della settima Mas alle pareti, è tutta una disperata ricerca di repertorio per non dimenticare da dove viene la prossima premier, ma va anche concesso a chiunque il diritto di essere magari un po’ esaltato in età giovanile e poi via via rinsavito fino alla saggezza: può succedere, perchè non dovrebbe succedere proprio alla Giorgia, che è dispostissima a mettersi pure il tailleur, per sembrare una Thatcher.

Spostandoci un po’ da destra verso il centro, si vede Salvini che ha già tirato fuori dal surgelatore la questione immigrazione e con una veloce sbollentata ce la ripropone tale e quale, come bastasse questo revival a cancellare il siluro con cui ha inabissato Draghi, in associazione e concorso con gli odiati 5 Stelle, esattamente quelli con cui non voleva più condividere neanche un caffè. Naturalmente, tiene a precisare che il premier lo indicherà il partito della coalizione che prenderà un voto in più, in perfetto accordo con gli altri, perchè “questa è la logica, questa è la democrazia, questo è il buonsenso”. Sì Matteo, certo Matteo.

Appena più in qua, verso il centro, riecco Berlusconi fresco come una rosa e bello come il sole, che stavolta garantisce in prima persona sulla grandezza della Meloni, oltre a quantificare in sede di pronostico la sua prossima discesa in campo: “Dicono che come Forza Italia siamo al 10 per cento, ma con me arriviamo al 20”. Garantito, nessun dubbio. D’altra parte ha appena portato il Monza in serie A, la sua infallibilità è nota. E pazienza se prima stava portando il Milan al fallimento: quella è colpa di Galliani, se mai. Precisiamo bene.

Al lato opposto dell’immagine, a sinistra, c’è Letta che si offre volontario per fare il front-runner (nei dopolavoro di Orbetello e Sesto San Giovanni ringraziano per il ritorno a un lessico pane e salame), ma soprattutto spiega che queste elezioni “saranno un tappone dolomitico”, comunque affrontato “con gli occhi della tigre”. Se deponesse per un attimo le letture di Bruno Raschi e di Siddharta, magari potrebbe dedicare alcuni cenni anche a qualche questione concreta, ma l’impressione è che sotto questo profilo si senta già a posto, avendo da tempo fissato le priorità, dal Ddl Zan allo Ius scholae, cioè a dire le emergenze assolute di cui ogni singolo italiano parla tutti i giorni a tavola, e populista becero chi li immagina a parlare di inflazione feroce, inverno al freddo, debito pubblico. Dai Retta a Letta: la destra va battuta sul terreno dei problemi concreti, senza timore di sporcarsi le mani.

In quella zona, più o meno, si agita quel che resta dei 5 Stelle, con il leader Conte pronto per giorni a firmare la deroga al blocco dei due mandati, salvo poi dire che la deroga non è prevista, ha prevalso la linea unitaria, siamo quelli delle origini, noi non ci attacchiamo alle poltrone del potere, eccetera. Bastava dire che aveva ricevuto una telefonata da Grillo, della serie o si fa così o andate tutti a quel paese. Per dire quanto è granitica la leadership di Conte. A prova di cotton fioc.

E infine sguardo in mezzo, al centro: dietro al polverone cosmico, pare ci sia qualche forma di vita. Flebile, larvale, impalpabile, ma in grado di sprigionare quantità enormi di elettricità. Sono figure piccolissime eppure attivissime, irrilevanti eppure agitatissime, tutte contro tutti, ciascuna pronta a formare una grossa cosa purchè si faccia alle sue condizioni, comunque senza questo e senza quello, purchè non ci sia Renzi, purchè non ci sia Di Maio, purchè non ci sia nessuno. Il più gasato, al momento, è Calenda, disposto a sostenere un secondo Draghi, ma specificando che in caso di rifiuto dell’ex premier si candiderà lui in prima persona: se ai Parioli lo votano a valanga, perchè l’Italia dovrebbe votare diversamente dai Parioli? Nell’attesa di sciogliere le riserve, Calenda ci avverte tutte le sere che lui ha lavorato nelle aziende private, in Ferrari e a Sky. Capace pure abbia fatto il militare a Cuneo. E comunque, perchè sia chiara a tutti la novità della sua Azione, finora solo energiche azioni di rottura con la politica dei politicanti e con gli equilibrismi di Palazzo, come dimostra l’incessante riciclaggio degli scarti di Berlusconi, spot carino a sostegno della raccolta differenziata, mai più rifiuti in giro per Roma. Calenda raccatta tutto, non lascia niente per strada. E’ il nuovo che avanza, nel senso che nessuno effettivamente ne sentiva la mancanza.

Grosso modo, questo il quadro. Mi rendo conto di aver elencato soprattutto i motivi per non votare questa brava gente. Da qui al 25 settembre, bisognerà trovare qualche motivo per votarla. Dovremo impegnarci molto. Ci impegneremo. Ma non è per niente sicuro che li troveremo. Si fa il possibile, per i miracoli ci dobbiamo ancora attrezzare.

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