QUELLO CHE NESSUNO CI DICE SULLA PASTA TROPPO GIALLA: C’E’ L’AGGUATO DELLA FUROSINA

La trasmissione di Rai3 “Indovina chi viene a cena – Il seme della resistenza”, ha avuto, tra gli altri, il grande merito di portare all’attenzione del grande pubblico alcune problematiche legate alla produzione ed al consumo di pasta.

Tra i temi trattati, il più ignorato e sconosciuto, ha riguardato il processo produttivo della pasta, alimento principe nella tavola degli italiani, ed in particolar modo le diverse temperature utilizzate per l’essiccazione che portano alla formazione di una molecola nota con il nome di Furosina, una delle più subdole sostanze che introduciamo inconsapevolmente, ma quotidianamente, nel nostro organismo.

La Furosina fa parte delle cosiddette ‘molecole glicate’ (Advanced Glycation End-products/AGEs) che diverse evidenze scientifiche legano ad alcuni processi infiammatori e a patologie dismetaboliche presenti nell’uomo.

In buona sostanza, la sua presenza in dosi significative nel nostro sangue, provoca un accumulo nei tessuti ed il loro conseguente danneggiamento.

Il tutto si traduce in seri danni soprattutto all’intestino e al fegato.

La pasta che noi mangiamo (in media un italiano ne consuma 24 kg/anno) contiene questa sostanza, che si forma in quantità proporzionale alle temperature utilizzate nel processo di essiccazione.

Il processo di essiccazione della pasta nel corso del tempo ha subito notevoli trasformazioni: alla fine del 1800, per essiccare gli spaghetti occorrevano circa 10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l’avvento dell’essiccazione meccanica i giorni necessari a ultimare il ciclo si ridussero a 3-5.

Con i moderni impianti si raggiungono temperature elevatissime, comprese in un intervallo tra 90 e 135°C, che riducono a 2-3 ore il tempo di essiccazione.

L’essiccazione ad alta temperatura (>90°C) si è diffusa perché comporta una netta riduzione dei tempi, dunque una maggior produttività e minori costi.

Una pasta essiccata ad alte temperature ha un ottimo comportamento in cottura, ma le elevate temperature raggiunte durante l’essiccazione provocano, tra l’altro, un danno termico all’amminoacido denominato lisina, molto importante per il nostro organismo, che oltre tutto non riesce a produrlo autonomamente.

Come brillantemente esposto durante la puntata dalla professoressa Tantillo dell’Università di Bari, la Furosina si forma già a medie temperature, ma il loro innalzamento provoca un proporzionale incremento della presenza di questa molecola, fino a toccare i quantitativi record di 450 mg/100 g di proteine.

Incredibilmente il quantitativo di Furosina presente nella pasta non è incluso nelle informazioni necessarie per l’etichettatura del prodotto e ovviamente le industrie pastarie si guardano bene dal rendere noto questo parametro.

D’altra parte anche la ricerca scientifica non aiuta a fare chiarezza su questo argomento.

Ad oggi la letteratura scientifica non include studi che riguardano i potenziali danni della Furosina nel corpo umano e sicuramente non saranno le multinazionali della pasta a finanziarla.

Gli unici studi che sono stati pubblicati sull’argomento sono relativi ai danni subiti da ratti sottoposti ad un’alimentazione con prodotti contenenti diverse concentrazioni di Furosina.

I risultati di uno studio citato dalla Tantillo, ‘Furosine, a Maillard Reaction Product, Triggers Necroptosis in Hepatocytes by Regulating the RIPK1/RIPK3/MLKL Pathway’ (Huiying Li et al., 2019), riporta che la presenza di livelli significativi di Furosina interferiscono con alcuni fattori infiammatori tra cui il fattore di necrosi tumorale, sia nel tessuto epatico che negli epatociti primari, causando danni al fegato.

Ma non è il solo studio che arriva a queste conclusioni.

In questi casi come ci si può difendere?

Come affermato dagli autori della trasmissione, ci si potrebbe rifare al principio di precauzione, secondo il quale in assenza di evidenze scientifiche sull’argomento si dovrebbero utilizzare i sistemi di produzione meno rischiosi: in questo caso la pasta essiccata a basse temperature.

I consumatori in assenza di indicazioni in etichetta possono utilizzare il metodo empirico suggerito dalla Tantillo, ovvero preferire una pasta di colore avorio anziché giallo intenso.

Più la colorazione è gialla, maggiore è la probabilità che sia stata essiccata ad alte temperature e conseguentemente la certezza che vi siano elevati quantitativi di Furosina. Invece, spesso ed inconsapevolmente, il consumatore preferisce una pasta più ambrata.

Occorrerebbe, partendo da un’adeguata campagna di informazione presso l’opinione pubblica, imporre alle autorità l’obbligo di dichiarare le temperature di essiccazione utilizzate e il quantitativo di Furosina contenuto nella pasta.

Basterebbe seguire l’esempio di quanto accaduto, sulla spinta dei consumatori, circa l’obbligo per i produttori di dichiarare la provenienza geografica del grano utilizzato per fare la pasta, in modo da aumentare la consapevolezza della tipologia di pasta da scegliere.

Non è un caso che questa normativa abbia condizionato le scelte dei grandi pastifici nazionali che, più per marketing che per convincimento, hanno optato addirittura per fare delle linee di pasta esclusivamente di provenienza nazionale.

Un limpido esempio di come la politica si faccia con informazione e carrello.

Su iniziativa di MIPAAF- ISMEA, è in corso proprio in questi giorni una campagna per promuovere la pasta, con una serie di attività di comunicazione all’insegna del motto “La pasta. Integratore di felicità”. A cui sarebbe opportuno però aggiungere “purchè fatta bene”.

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