Viviamo di simboli: la vita degli uomini è davvero quella forêt de symboles di cui parla Baudelaire, il poeta tanto caro a Rocco Casalino, anche se lui lo adora per Madame Bovary, che non ha scritto. Ci sono, naturalmente, simboli più o meno potenti o simboli che erano formidabili un tempo e che, oggi, devono lasciare il passo a simboli più attuali, più vicini al sentimento della gente. Simboli, insomma, più simbolici.
Ad esempio, negli anni della Terza Italia, il nome di Ruggero Settimo era assai evocativo di una temperie storica: ammiraglio, aristocratico siciliano, si fece portavoce delle istanze patriottiche e liberali, diventando protagonista della rivoluzione del 1848, fino all’esilio. Cui fecero seguito il rientro in Patria e l’apoteosi. Per questo, gli furono dedicate vie e piazze, quando appunto era un simbolo vivo e forte del Risorgimento nel Meridione. Tra le altre cose, gli fu anche dedicata una scuola elementare di Castelvetrano: e, fin qui, non ci sarebbe nessuna notizia da commentare.
Oggi, quella scuola, nelle cui aule sedette da bambino Matteo Messina Denaro (anche i capimafia sono stati bambini, hanno avuto una mamma che baciava loro le piccole escoriazioni, hanno giocato e pianto), è al centro di una polemica di quelle che torcono le budella. Perché l’Associazione magistrati di Marsala, proprio in considerazione dell’ubicazione del plesso, a pochi metri dalla casa del boss, ha proposto di cambiare l’intitolazione dell’istituto, consacrandolo alla memoria di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino strangolato e sciolto nell’acido dai mafiosi, dopo più di due anni di prigionia, per punirne il padre, che aveva collaborato con la giustizia. Si tratta, certamente, di un gesto forte: di una specie di schiaffone gridato in faccia alla mafia, nel centro esatto di un territorio balzato agli onori delle cronache per il recente arresto di Messina Denaro, ma anche noto per un collaborazionismo, non si capisce se figlio della paura o dell’ammirazione, nei confronti della mafia e dei suoi affiliati.
Per questo, dare a una scuola elementare il nome di un ragazzino ucciso in quel modo, da quella gente, significherebbe ricordare ai giovanissimi di Castelvetrano cosa sia la mafia. E, soprattutto, cosa non sia: gli uomini d’onore non strangolano i bambini. Non meritano ammirazione: non sono eroi popolari. La notizia, quindi, pareva di quelle belle: di quelle che ridanno respiro a chi ancora spera che questo Paese possa avviarsi a un destino normale.
Solo che un gruppo di genitori (anche qui non si capisce se per paura o per chissà quale altro motivo), ha suggerito alla dirigente scolastica che la cosa potesse essere un errore. Un po’ pilatescamente, la dirigente ha dunque proposto all’ANM di lasciare l’intitolazione all’ammiraglio ottocentesco, dedicando al piccolo Di Matteo una pertinenza dell’edificio. Cambia poco, è vero: ma cambia, almeno dal punto di vista simbolico. E, come dicevamo, di simboli si vive. Il 15 marzo si terrà la solita assemblea, con docenti, studenti e genitori: il solito assemblearismo fatto per non decidere e, temo, ne uscirà il solito pastrocchio, con un colpo al cerchio, uno alla botte e uno al simbolo.
Perché, anche se nessuno lo dice, adducendo altri argomenti, come lo shock per i bambini nell’apprendere la storia del loro quasi coetaneo o il risibile rispetto per un eroe risorgimentale il cui nome è del tutto dimenticato, salvo necessità, su questa scelta aleggia un altro simbolo. Un simbolo cupo e formidabile davvero: un occhio di Sauron che osserva e annota, aspetta e punisce. E’ il simbolo di un potere ancora fortissimo, di una paura palpabile, di una prudenza elaborata in secoli di sottomissione e di minaccia.
Certo, restando a livello simbolico, nel XXI secolo mica si può dire che dedicare una scuola a un bambino assassinato rappresenti un azzardo: che razza di mondo sarebbe? Che razza di società sarebbe? Ecco, appunto.