C’è una vasta letteratura e filmografia che racconta di persone disperate, disposte a gesti estremi come occupare banche e ospedali, tenendo in ostaggio gente che non c’entra nulla con il caso personale cui si vuole dare pubblicità in maniera eclatante, oltre la legge. Disobbedendo alla legge.
Nelle ultime settimane mi sono imbattuto nel vecchio “John Q” (2002) con Denzel Washington e James Wood, il fumettone con John Voigt “Mercy” del 2023 (specifico perché di Mercy ce ne sono in giro una mezza dozzina), soprattutto il recentissimo “Cento domeniche” diretto e interpretato da Antonio Albanese. In tutte e tre queste pellicole si parla di genitori che occupano con la forza e con le armi rispettivamente una banca, uno ospedale e di nuovo una banca, per attirare l’attenzione sui casi disperati di un figlio (nell’improbabile “Mercy”, peraltro, il protagonista è un malavitoso che vuole assistere il pargolo ferito in una sparatoria) o semplicemente per l’amore verso la figlia.
Quando scorrono i titoli di coda di “John Q” e “Cento domeniche” (entrambi ispirati a fatti realmente accaduti), rimane addosso il fardello dell’interrogativo: cosa avrei fatto io, sulla soglia dello sconforto totale e senza apparente via di uscita? Mi sono risposto: non quello che hanno fatto Denzel Washington e Antonio Albanese. Non avrei coinvolto innocenti, non avrei messo a repentaglio la loro vita e la mia, avrei cercato una terza via.
Denzel Washington non accetta il rifiuto dell’ospedale di curare il bimbo afflitto da una malattia rarissima, Antonio Albanese – da pochissimo in pensione – vede sparire tutti i suoi pochi risparmi, causa una truffa perpetrata dalla filiale del suo paesello. Sono disperati entrambi, hanno eguali ragioni e diritti, si è portati naturalmente a simpatizzare per loro, ma non si può ignorare il coinvolgimento di estranei che finiscono involontariamente nella spirale del loro risentimento.
A proposito di disobbedienza, veniamo alle faccende di casa nostra. Lo slogan degli attivisti di nuova (o ultima che dir si voglia) generazione è appunto: “Disobbedienza civile nonviolenta contro il collasso ecoclimatico”. Cominciamo a interrogarci su quel “nonviolenta” e se il termine preveda o no la deturpazione di palazzi e opere d’arte, preveda o no fare ostaggi in tangenziale. Interroghiamoci anche su “disobbedienza” e “contro”: mi spiace, ma contrariamente a Denzel e Antonio, per questi è oggettivamente difficile provare anche un minimo moto di simpatia.
Sta di fatto che la giudice Simona Siena ha sospeso la pena dei 3 attivisti che lo scorso 2 novembre avevano bloccato la tangenziale di Bologna: erano stati ritenuti colpevoli di violenza privata perché responsabili di aver costretto centinaia persone a stare ferme sulla strada bloccata, e di interruzione di pubblico servizio, dal momento che a restare bloccati non furono soltanto i comuni automobilisti, ma anche mezzi pubblici, agenti di polizia e furgoni adibiti al trasporto di farmaci. Secondo il giudice, i manifestanti “agirono non certo per soddisfare un interesse personale ed egoistico, ma per uno scopo superiore, nobile e altruistico, ovvero la tutela dell’ambiente. Le condotte criminose, infatti, sono rappresentate da una forma di protesta, pur penalmente illecita, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica e i soggetti istituzionali sulle conseguenze dell’inerzia di fronte al cambiamento climatico e sull’ingiusta minaccia alle libertà future che pesa sulle prossime generazioni”. Il fine, insomma. Non la condotta.
Sono impegnato da anni su questi temi: ne parlo e ne scrivo (sono gli strumenti che conosco), dirigo un magazine che si occupava di vino (“Vendemmie”) e che con l’editore Federico Gordini abbiamo voluto aprire a terra, ambiente, agricoltura, clima, cibo, sostenibilità. In proposito stiamo organizzando una conferenza nazionale, insieme con l’Università di Parma e il sindaco di quella città. E’ un modo, intellettuale e molto sedentario – lo riconosco -, ma è un modo comunque. Non interferisce sulla vita dei cittadini privati, se non nel tentativo di coinvolgerli.
Per uscire dall’autoreferenzialità, segnalo – tra le decine esistenti – l’attività di “Plastic free onlus”, organizzazione che si occupa di pulire il mondo dall’inquinamento della plastica coinvolgendo ogni fine settimana decine di migliaia di volontari, i quali si spaccano la schiena ripulendo argini dei fiumi, sponde dei laghi, coste marine.
Mi sembra un modo più intelligente rispetto a quello di tirare vernice contro i quadri o sedersi in autostrada a bloccare la vita della gente comune, checché ne dica la giudice Simona Siena, alla quale auguro di trovarsi presto imbottigliata da una manifestazione di attivisti di nuova, e speriamo davvero ultima, generazione.