L’occasione fa l’uomo ladro, dicono. E, nel crescente business legato alle cure per gli animali d’affezione, verrebbe proprio da crederlo. In questo caso, l’occasione è un dato sociologico. Anzi, più che sociologico, il dato si direbbe psichiatrico: non si fanno più figli, ma, in compenso, si trattano cani e gatti come se fossero la prole, chiamandoli “i miei bambini” e riservando loro ogni cura.
Va da sé che, in quest’epoca molliccia di eccessi diagnostici, anche le care bestioline siano onninamente monitorate e portate dal veterinario al primo starnuto o alla prima cacchina molle. E, siccome i titolari delle cliniche veterinarie non sono mica scemi, hanno capito come funziona e, se Fuffi o Mao snobbano il pranzo, sono pronti a diagnosticare crisi psicologiche o fenomeni di bullismo animale. Così, si tengono due settimane Fuffi in clinica, a botte da cento euro al giorno: gli fanno mille esami e, poi, lo dimettono, tale e quale a prima, per la gioia scoppiettante dei genitori putativi, depauperati di qualche migliaio di euro, ma rassicurati circa l’assenza di sintomi sociopatici nel loro barboncino.
Capito il business? E mi potete credere, perché ci sono passato anch’io: una delle mie gattine, Lady Patata, a un certo punto ha smesso di mangiare e, di botto, è cascata giù, in una sorta di paralisi. Apriti cielo! Portarla dal veterinario e ricoverarla è stato tutt’uno: la prego dottore, salvi la mia Patata! Ieratico, il veterinario ha auscultato, misurato, analizzato e, dopo una decina di giorni, ha sentenziato: la Tina e la Lella, in una turpe associazione per delinquere, avevano mobbizzato la povera Lady Patata, che, per tutta reazione, aveva subito un blocco dell’appetito. Per fortuna, dopo apposite e costosissime cure, la nostra gattina è tornata a casa come nuova. Salvo ricascarci, nonostante che, dopo il divorzio, vivesse con la mia ex moglie, in perfetta solitudine, senza nessuno che la bullizzasse. Naturalmente, stavolta la sindrome è passata per conto suo, come, presumo, sarebbe successo anche nel primo caso: l’unica differenza è che nessuno è stato alleggerito di un bel pacco di soldi.
Moltiplicate quel bel pacco di soldi per i milioni di padroni, ansiosi per il benessere dei loro amichetti caudati, e arriverete alla cifra, tutt’altro che disprezzabile, di un miliardo di euro abbondante: a tanto assommano le spese annuali degli Italiani per la salute delle loro bestiole da compagnia. E fosse solo quello: alla prima pioggia, è tutto un verzicare di impermeabili canini. Al primo frescolino, il caro cucciolo viene tegumentato di graziosissimi cappottini in cachemire, anche se si tratta di un San Bernardo. Al primo colpo di tosse si corre dal veterinario. Al primo segnale d’inappetenza, gli si compra il paté de foie gras direttamente dal Périgord.
Insomma, quella insensata maniera di vivere con cui abbiamo rovinato i nostri figli, viziandoli all’inverosimile, oggi, in assenza di figli, si è trasferita sugli animali: e la colpa non è, ovviamente, delle bestie, che sono bestie e, come tali, se ne fregherebbero del meteo o della psicologia d’accatto. La colpa è nostra: siamo noi che riversiamo la nostra debolezza su tutto ciò che ci circonda, trasformando ogni cosa in materia debole.
Mia mamma, donna di grande saggezza, usava ricordarmi i bambini del Biafra (chissà perché poi proprio il Biafra?) che morivano di fame, quando lasciavo nel piatto qualche avanzo più sostanzioso del solito. Chissà cosa direbbe oggi di questo spreco: di queste signore che portano il pechinese in clinica, perché ha lo sguardo triste e sembra sospirare. Come se un cane fosse Leopardi! E si spende e si spande, sull’orlo del baratro: mentre i nostri cani e i nostri gatti, nonostante le vitamine, continuano a comportarsi da cani e da gatti. Finchè una razza si estinguerà. E temo che non saranno loro.