QUEL FEROCE VIRUS CHE CI STA IMPOVERENDO: L’INFLAZIONE

Tutti, anche chi scappa ululando appena sente parlare di economia, salvo piangere sui suoi risparmi bruciati, tutti dovrebbero fare lo sforzo di leggere questo articolo. Perchè semplicemente spiega a cosa andiamo incontro, una specie di pandemia – per fortuna non sanitaria – che si abbatterà su tutti quanti, ma come al solito in misura feroce sui meno ricchi. Il virus, in questo caso, si chiama inflazione. Dal “Corriere Economia”, la lucida e preziosa analisi:

di MARCO SABELLA – Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo. E non è più quello evocato oltre centosettanta anni fa da Marx ed Engels nel loro Manifesto — il comunismo — bensì quello oggi temutissimo dai banchieri centrali (e non solo): lo spettro dell’inflazione. Dopo quasi 15 anni di silenzio, con tassi di crescita dei prezzi che dopo la crisi finanziaria del 2008 si erano stabilizzati su una media annua inferiore all’1%, con picchi negativi del -0,1% nel 2016 e del -0,2% nel 2020, il primo anno della crisi da Covid-19, l’erosione del potere d’acquisto è riesplosa con virulenza, proprio a causa della ripresa economica globale post pandemia che si è registrata con forza quest’anno. A fine novembre 2021 in Italia l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un aumento su base annua del 3,8%, nell’eurozona la crescita media è stata del 4,9% mentre negli Stati Uniti ha sfiorato il 7%, fermandosi (per il momento) al 6,8%.

Minaccia al risparmio

Nonostante l’iniziale minimizzazione del fenomeno, definito transitorio dalle banche centrali di Stati Uniti (Fed) ed Eurozona (Bce) sembra oggi evidente che con un’inflazione strutturalmente più elevata di quella che abbiamo sperimentato negli ultimi 12-15 anni dovremo imparare a convivere a lungo. E questo inatteso scenario pone delle sfide difficili alle famiglie e ai risparmiatori. Secondo dati della Banca d’Italia sui conti correnti delle famiglie vi sono giacenze liquide superiori ai 1.800 miliardi di euro, mentre sui conti delle imprese il cash depositato in banca ammonta a circa 500 miliardi. Si tratta di grandezze enormi, che sommate sono grosso modo equivalenti al Pil della Francia. Ma mentre le imprese hanno gli strumenti tecnici per gestire in modo attivo la liquidità e ridurre la perdita di potere d’acquisto delle riserve cash, per le famiglie l’erosione del capitale rischia di assumere proporzioni imponenti. Ipotizzando per il 2022 un’inflazione di circa il 3% si avrebbe in un’anno un’erosione di circa 55 miliardi, pari alla crescita dell’ammontare delle giacenze sui conti correnti che si era registrata nel 2020, il primo anno di risparmio “forzoso” dovuto alla contrazione dei consumi provocata dalla pandemia.

Poche protezioni

Se questi livelli di inflazione annua dovessero confermarsi nei prossimi 10 anni la perdita di potere d’acquisto del capitale mantenuto liquido e non investito ammonterebbe al 28,5%, mentre sarebbe stata di un ben più modesto 6% se la media dei prezzi del prossimo decennio si fosse confermata quella del 2019, l’ultimo anno pre-pandemia quando l’aumento del costo della vita si arresto ad un+0,6% annuo. Ciò che rende particolarmente pesante questo scenario è la mancanza di alternative di investimento a rischio zero o contenuto. Se i conti correnti non fruttano interessi, i Bot continuano e presumibilmente continueranno ancora per molti mesi ad avere tassi di interesse negativi. Solo i conti correnti di deposito offrono rendimenti positivi per somme vincolate a 6-12 mesi che riducono parzialmente l’erosione del capitale grazie a un remunerazione annua di circa l’1- 1,5%. Come si vede l’unica alternativa possibile alla «tassa occulta» dell’inflazione è investire in attività a più alto rischio, ad esempio l’equity, visto che il mercato obbligazionario, anche al di là delle scadenze più brevi, non riesce ancora ad offrire rendimenti superiori o uguali al tasso di inflazione.

Fenomeno transitorio?

Nei 25 anni di inflazione complessivamente contenuta a causa della spinta al ribasso o al congelamento dei prezzi dovuta alla globalizzazione — quindi nel periodo che va dal 1996 al 2021 — la perdita di potere d’acquisto della moneta ha raggiunto il 35% e contemporaneamente le borse globali hanno sestuplicato la loro capitalizzazione in tal modo moltiplicando la ricchezza delle attività investite in capitale di rischio. Tuttavia adesso che la globalizzazione è entrata in una fase di ripensamento, sia a causa della pandemia che dei processi di rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato (reshoring), è difficile pensare per il prossimo decennio a un analogo boom dei mercati finanziari. E diventa decisivo che le banche centrali, come del resto hanno annunciato, si impegnino a riportare l’inflazione su un valore medio di lungo periodo di circa il 2%.

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