Di banane nell’arte ne abbiamo viste un bel po’, da quella di Andy Warhol sulla copertina del primo disco dei Velvet Underground a quelle di Banksy, in mano a Travolta e Jackson nella scena di Pulp Fiction, fino a quella di oggi, quella di Cattelan, che tutti commentano e tutti vorrebbero forse mangiare. Ogni volta la banana pare essere un pungolo per dire la propria sull’arte e sul mondo dell’arte.
E giustamente, vorrei dire, tutti si sentono in diritto di esprimere la propria opinione, perché no? L’arte dovrebbe stimolare la riflessione sui tempi che corrono, credo, e allora il delitto avviene quando il critico sente la voce del primo che passa e si risente, alza la cresta e vorrebbe mettere tutti a tacere. Per lui si tratta di invasione di campo, ma così non è, il delitto avviene quando il commento o i destinatari di un messaggio o di un’azione di interesse pubblico rimangono nella cerchia ristretta degli esperti, certificando la morte del messaggio, dell’azione, dell’opera stessa. Un po’ come troppo spesso accade nelle università, dove la ricerca e il dibattito sono irraggiungibili dalla cittadinanza e avulsi da quel che accade nel Paese reale: la teoria e nessuna pratica insomma.
Basta buttare l’occhio e l’orecchio nelle facoltà che si occupano di politiche sociali per rendersene conto.
Ma torniamo all’arte. In genere accade che quando l’arte te la spiegano finisce col piacerti un po’ di più, o almeno un po’, fermo restando che critico o manovale uno ha tutto il diritto di tenersi stretti i propri gusti.
Conoscere storia, tecniche e contesti aiuta a comprendere come nasce un’opera, come viene eseguita, che messaggio porta al mondo e in conseguenza a definirne l’estetica in modo che non sia solo bello, brutto, elegante, grossolano, avrei potuto farlo anch’io e via discorrendo.
Con questa benedetta banana e in generale con quella che viene definita arte concettuale, a me succede che l’indice di gradimento sia identico alla prima volta, cioè zero, pur cercando di capire il perché e il per come. Va bene, mi dico, in questo caso è la caducità dell’opera d’arte, la commedia e la buccia di banana, la provocazione, l’esca per il millionaire di turno che prontamente abbocca e tutto quello che si vuole, letteralmente tutto quello che si vuole e comincio però a rinnegare ogni tanto la mia formazione postmoderna.
Ogni volta mi dico che bastava me la raccontassero l’opera, o scrivessero due righe con l’idea e l’intenzione. Va bene , abbiamo capito, avanti la prossima.
Quasi sempre, pure vederla l’opera mi pare decisamente troppo.
Ma ho torto ovviamente, considerato il cancan che ogni volta ne deriva. Se ne parla, se ne discute e quindi ho evidentemente torto. Soprattutto c’è qualcuno che questa banana, questa idea di banana che non è mai la stessa, la compra ed è disposto a sborsare 6 milioni di dollari. C’è sempre qualcuno pronto ad abboccare e a ricordarci i tempi nei quali viviamo.
Cattelan provoca e con furbizia vende sé stesso e il suo nome, ma nel 2024 qualcosa può davvero ancora suscitare provocazione attraverso un’immagine, un’oggetto? Dopo l’orinatoio di Duchamp, dopo la merda d’artista di Manzoni e dopo quello che ogni giorno possiamo vedere con i nostri occhi, dal vero o attraverso gli schermi, cioè tutto e il contrario di tutto, con tanto di spiegazione e giustificazione, qual è il fascino di una banana appesa con il nastro adesivo?
Cattelan vende sé stesso, vende il suo nome punto, con buona pace dei critici. Se domani Cattelan mette su un piatto di plastica una puntina da disegno, la quotazione è assicurata. Giusto? Sbagliato?
Sta di fatto che ho sempre snobbato i macchiaioli, forse ingiustamente, ma ora dei macchiaioli mi è venuta una voglia irrefrenabile.
In ogni caso trovare una banana giunta al perfetto punto di maturazione ed imprigionarla in un largo nastro adesivo professionale, così efficace, così sicuro, non è così banale, serve del talento, no? Forse a noi sfugge il significato della parola arte, o forse l’arte (come tutto il resto ormai) si è allontanata troppo dal significato originale, assumendo una connotazione significante, esclusa la tecnica, la sapienza. L’arte che si allontana dalla tecnica, dal saper fare per dedicarsi esclusivamente all’esprimere (con parecchie riserve sul cosa), è sempre stata difficile da metabolizzare. Anche qui si tratta di perdita di valori e acquisizione di simboli, questa sarà sicuramente una delle letture dell'”opera” di Cattelan. Poi negli ingredienti ci sarà una spruzzata di populismo (che quello in questo periodo va che è un piacere), una connotazione minimalista-naturalista, una provocazione pseudo-sessuale, un richiamo campestre, oppure evocazione di un mondo perduto, o ritorno alle nostre origini. Oppure l’ha messa lì per farcela guardare, per capire se pure una banana (neppure rosa, gialla) riusciva a ridestare il nostro ego interpretativo, se riusciva a muovere milioni di dollari quando al chilo nei supermercati giusti le banane le trovi a meno di due euro. E noi, che non siamo capaci di cogliere l’immenso neppure guardando il cielo stellato di agosto, ci siamo cascati come simpatiche scimmiette, la stiamo adorando la sua banana. Ce la sentiamo in bocca, la più bella, la più buona.