QUEI MISERABILI 5 MINUTI DEL CALCIO CONTRO LA GUERRA

“Peace & Love”, la bandiera arcobaleno, il fiocco rosso, rosa e giallo. Simboli, ce ne sono milioni, che hanno fatto storia e che ci aiutano non solo a scriverla, ma anche a difenderla.

Simboli, quel logo a forma di cerchio tagliato da tre linee che rappresenta la fusione di due lettere dell’alfabeto semaforico utilizzato nelle segnalazioni marittime e creato il 21 febbraio 1958 dal disegnatore e pacifista britannico Gerald Holtom. Le lettere sono la N e la D, a voler appunto indicare Nuclear Disarmament. Successivamente Holtom dichiarò che si tratterebbe di un uomo con le palme delle mani allargate all’infuori e verso il basso, all’interno di un cerchio rappresentante la terra.

Simboli, come le “biciclette bianche” dei provocatori attivi di metà degli Anni Sessanta – i Provos, parola che deriva appunto dal termine provocazione -. Le piste ciclabili in Olanda, senza la protesta delle “biciclette bianche”, non sarebbero neanche nate.

Viviamo da sempre nei simboli e nei gesti. “Andrà tutto bene”, ci rievoca storie recenti neanche passate. E forse così bene non è nemmeno andata.

In ogni caso, ora c’è l’Ucraina invasa e il mondo si mobilita, esprime solidarietà. Fa e dice. Scrive e manifesta. Il mondo del calcio – il nostro, quello di casa nostra – ha deciso simbolicamente di scendere in campo con 5’ di ritardo. Non una partita di 85 minuti anziché 90, ma cinque minuti dopo. Insomma i calciatori e la quaterna arbitrale scenderanno in campo con cinque minuti di ritardo. E dove è la simbologia in questo atteggiamento? A cosa rinuncia il mondo del calcio?

Quando mancò tre anni fa Davide Astori, questo mondo del calcio decise di ricordarlo al 13’ di gioco, in onore di questo sfortunatissimo capitano viola che indossava appunto la maglia numero 13. Fu un gesto bellissimo, un’immagine simbolo: al 13° minuto, giocatori improvvisamente fermi e per un minuto tutti lì immobili, sul posto.

Con tutto il rispetto, per l’Ucraina si poteva fare di meglio. Cinque minuti? Sì, ma di stop sul campo, di vero e profondo raccoglimento. In questo modo il calcio avrebbe dato davvero qualcosa: cinque minuti in meno di “battaglia”, per rivolgere il pensiero a un popolo che sta subendo un’atroce aggressione. Un gesto di questo tipo sarebbe stato un simbolo di rinuncia e attenzione, ben diverso dai cinque minuti di “ritardo”, per restare negli spogliatoi un po’ di più, lontano da telecamere e teleobiettivi. Nell’oblio.

 

 

 

 

 

 

 

 

2 pensieri su “QUEI MISERABILI 5 MINUTI DEL CALCIO CONTRO LA GUERRA

  1. Fabio dice:

    Caro Stagi, quelli del calcio bisognerebbe avere il coraggio di prenderli a calci. Soprattutto in una occasione come questa, nella quale si sono dimostrati attenti e pronti a mostrare il loro vero volto: falso ed ipocrita.

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